Il Monocolo intervista il vice Presidente della Camera Fabio Rampelli e l'ex Ministro delle Telecomunicazioni Mario Landolfi.
Il centrodestra è passato dalla compattezza sbandierata prima dell’appuntamento del Quirinale allo squagliamento post-elezione di Mattarella. Si millantava prima o si esagera adesso?
Mario Landolfi
Millantare è termine un po’ forte: certamente faceva propaganda.
Il centrodestra come coalizione politica a livello nazionale semplicemente non esiste.
Esiste un blocco sociale di riferimento, ma è da circa un decennio che tale blocco non trova rappresentanza politica unitaria a livello centrale. L’alleanza tra FdI, Lega e Forza Italia è un’illusione ottica.
In realtà i tre partiti agiscono su piani sfalsati. Lo dimostra il fatto che due di loro – Lega e FI – appoggiano il governo Draghi mentre l’altro – FdI – vi si oppone.
Prima ancora era la Lega a governare con i 5Stelle e, risalendo alla scorsa legislatura, era Forza Italia a sostenere il governo Letta. Mi sembra più un assetto da Armata Brancaleone che da reggimento prussiano.
Diversa è l’analisi se dal livello centrale si passa a quello territoriale: qui la coalizione di centrodestra c’è.
Ma la politica si fa a Roma, il resto è amministrazione.
Fabio Rampelli
C’erano stati segnali di difficoltà, del resto la modifica di un quadro non può non creare esigenze di aggiornamento… il sorpasso di Salvini su Forza Italia, il mancato incarico al centrodestra da parte di Mattarella per provare a formare un governo, il primo Conte con Lega e 5 Stelle, l’inganno di Zingaretti a Salvini e la sua fuoriuscita dal governo, l’ingresso icon Draghi di Fi e Lega, la decrescita costante di Fi e la salita compulsiva di FDI fino al sorpasso sulla Lega hanno rappresentato elementi dirompenti. Il centrodestra in fondo ha tenuto, ma molto c’è da rivedere.
I centristi della coalizione, compresi alcuni settori di Forza Italia, accusano i leader del fronte sovranista, Meloni e Salvini, di scaricare sull’alleanza le tensioni derivanti dalla loro competizione per la conquista della leadership. È davvero così, nel senso che è tutta colpa dell’ansia da sondaggio o c’è da ricercare qualcosa di più strutturale per spiegare la crisi del centrodestra?
Mario Landolfi
È innegabile che la lotta per la leadership, tuttora in corso, tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini stia condizionando le mosse del presunto centrodestra, allargando ogni giorno il fossato che separa le forze politiche che lo compongono.
L’ansia da sondaggio c’è e si fa sentire. Non ritrovo invece nella diversità di posizione a livello nazionale la presenza di elementi strutturali, come ad esempio una diversa “lettura” della società o una divaricazione sul modello di sviluppo della nostra economia o, ancora, una differente “ricetta” su come ridurre la distanza tra Nord e Sud.
E non è un bene: primo perché significa che il presunto centrodestra vive alla giornata, scansando i temi più spinosi per paura di dividersi (il che poi accade puntualmente, ma su questioni bagatellari); e poi perché suona come rinuncia alla politica a vantaggio della propaganda in un clima da campagna elettorale permanente.
Mi limito a un solo esempio: è di questi giorni la notizia che il ministro Gelmini sta rispolverando il dossier sull’autonomia regionale differenziata accantonato dopo l’insorgere della pandemia.
È un tema da non sottovalutare poiché rischia seriamente di compromettere definitivamente l’unità e l’identità nazionale, già minata dalla sciagurata riforma regionalista del Titolo V della Costituzione voluta dalla sinistra nel 2001.
Il tema dell’autonomia differenziata è il sequel di quel brutto film. Oltre all’Emilia Romagna, la chiedono Lombardia e Veneto, che sull’argomento organizzarono, nel 2017, anche un referendum consultivo.
L’unico partito a schierarsi, giustamente, contro fu Fratelli d’Italia. Sorprendentemente, tuttavia, tre anni fa Giorgia Meloni ha sottoscritto con il governatore Luca Zaia l’impegno a favorire il varo dell’autonomia rafforzata.
Se ne dovrebbe dedurre che sul merito il centrodestra sia concorde.
Ma non penso sia così. Autonomia differenziata significa infatti che le tre Regioni di cui prima avranno più competenze dirette e più risorse per gestirle, con buona pace del diritto degli italiani a godere delle medesime opportunità a prescindere dal loro certificato di residenza.
Ma una nazione non è un condominio: è comunità di destino, dove il Pil conta almeno quanto la comunanza di storia, di lingua, di cultura e di religione.
Ecco: su una questione tanto decisiva e divisiva il centrodestra si confronterà come il tema richiede o, come temo, si limiterà a nascondere la polvere sotto il tappeto?
Fabio Rampelli
Noi non siamo entrati al governo perché avevamo preso impegno con gli elettori a non fare accordi con Pd e M5S e abbiamo voluto rispettarlo. Il derby con Salvini non ha mai condizionato le nostre scelte, abbiamo sempre scelto il bene dell’Italia, mai calcoli politici.
Le fibrillazioni al centro e il dissolvimento in atto del M5S hanno fatto tornare d’attualità il tema della legge elettorale con annessa nostalgia per il sistema proporzionale. E c’è chi già vi intravede la volontà di ricreare un nuovo “arco costituzionale” per ibernare la destra in un secondo “lungo inverno” dopo quello patito dal Msi al tempo della Prima Repubblica. È uno scenario possibile?
Mario Landolfi
L’attuale Parlamento già ragiona e agisce con mentalità da proporzionale.
A destra come a sinistra le alleanze si tengono con gli spilli.
Si tratta solo di prendere atto della realtà.
Non temo, invece, il salto all’indietro: nella Prima Repubblica esistevano partiti condannati a governare e altri costretti all’opposizione per ragioni internazionali (il Pci filosovietico) o storico-costituzionale (il Msi erede della Rsi). Oggi è diverso: da Giorgia Meloni a Roberto Speranza hanno governato tutti.
Non si capisce, dunque, a quale chiodo si potrebbe appendere un novello “arco costituzionale”.
Detto questo, non ci sarebbe nulla di male ad allearsi dopo il voto piuttosto che prima.
A chi dice che con il maggioritario il nome del vincitore si conosce la domenica sera rispondo che è un argomento da Domenica sportiva.
In Germania le alleanze si fanno dopo le elezioni, e non sembra che balli sull’orlo dell’instabilità.
Fabio Rampelli
Nella sostanza con l’abolizione del premio di maggioranza nel Rosatellum già siamo in un sistema proporzionale, infatti i governi dal 2018 a oggi non rispettano le coalizioni che si sono presentate agli elettori e hanno composto accordi tipici del sistema proporzionale. Lo scenario di una destra marginale è frutto di fantasia perché noi siamo conservatori, solidamente agganciati alla grande famiglia europea e americana dei conservatori, e quindi non marginalizzabili.
E poi prenderemo il 25% e saremo il primo partito, quindi anche formalmente avremo noi l’incarico a formare un governo, cn qualunque sistema elettorale.
Quanto pesa sugli equilibri e sul futuro stesso dell’alleanza la diversa collocazione dei partiti che la compongono nei confronti del governo Draghi?
Mario Landolfi
Partiti che si dividono nel giudizio sul governo non sono alleati.
È solo quando si fa parte di una stessa maggioranza che ci si può definire tali.
Chi lo nega sta imbrogliando.
Fabio Rampelli
Io penso che questa diversificazione possa perfino agevolare il centrodestra, se saremo capaci di coglierne il valore aggiunto e metterlo a sistema.
Ma occorrono regole d’ingaggio nuove e rigorose, una rifondazione vera e propria del centrodestra per come lo abbiamo conosciuto.
In primavera si torna a votare per un nuovo turno amministrativo.
Il centrodestra vi arriva sull’onda di roventi polemiche interne e con le ferite ancora aperte dai clamorosi flop elettorali dello scorso anno nelle maggiori città italiane, in particolare Roma, Milano e Napoli.
È tuttavia scontato che all’appuntamento con le urne la coalizione si presenterà compatta mentre a livello nazionale resta divisa. Questa schizofrenia tra centro e periferia non rischia di dar ragione a chi sostiene che l’alleanza esiste solo a livello territoriale e non anche politico?
Mario Landolfi
Confermo quanto detto prima: il centrodestra è tale solo nelle Regioni e nei Comuni.
Manca dove ce ne sarebbe più bisogno, cioè nella politica nazionale.
Fabio Rampelli
Sono giuste osservazioni sulle quali s’impone una scelta definitiva, la prima è quella di essere alternativi a Pd e 5 stelle. La democrazia ci indica la strada: chi vince governa, chi perde fa l’opposizione
Il “no” di Fratelli d’Italia all’appello di Mattarella a sostenere il governo di unità nazionale per venire fuori dalla pandemia è stato decrittato dagli alleati, ma anche da settori di destra, come più attento alle ragioni di bottega che a quelle della nazione.
Insomma, molto egoistico e poco patriottico. È così?
Mario Landolfi
All’atto di nascita dell’attuale governo, insieme ad altri amici lanciammo un appello a Giorgia Meloni affinché accogliesse il drammatico messaggio di Mattarella a favorire il tentativo di Mario Draghi.
Lo facemmo per due ragioni.
La prima: quando la patria chiama, i patrioti corrono ad arruolarsi; la seconda: era la prima volta che un Capo dello Stato si rivolgeva a tutti i gruppi del Parlamento senza distinzioni.
Un fatto storico, come ben sa chi ha militato a destra nella condizione di “esuli in patria”.
Non avemmo fortuna. Resto di quell’idea, sebbene onestà intellettuale mi imponga di riconoscere che il “no” di FdI si è rivelato quanto mai azzeccato, almeno nell’immediato.
Sul lungo termine, invece, non sono sicuro che l’aver preferito il sondaggio al coraggio si rivelerà un buon investimento.
Fabio Rampelli
Una pandemia implica responsabilità, non grandi coalizioni marmellata.
In teoria si dovrebbero seguire sol indicazioni tecnico-sanitarie ma in Italia più che altrove c’è stata una politicizzazione forsennata del Covid 19, ma una democrazia è tale se c’è un’opposizione e noi non abbiamo mai rinunciato alle funzioni di indirizzo e controllo esercitate da un’opposizione patriottica.
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