Una nuova serie di fallimenti coinvolge il mercato americano. La Silicon Valley Bank e La Signature Bank, rispettivamente, la sedicesima e la ventunesima più grande banca americana, sono fallite e la turbolenza sembra coinvolgere - nonostante le tante rassicurazioni provenienti da Bruxelles- anche il mercato europeo. I mercati, infatti, sono preoccupati per un possibile contagio e sono spaventati dall'ipotesi che il fallimento possa innescare una crisi simile a quella che, nel 2008, fece seguito al fallimento di Lehman Brothers.
La Silicon Valley Bank (o Svb) era un istituto con circa 209 miliardi di asset (e 175,4 miliardi di depositi). La banca divenuta il punto di riferimento per le startup tecnologiche della Silicon Valley, solo un anno e mezzo, fa era valutata 44 miliardi di dollari. La Svb usava il denaro depositato dai propri clienti per investirlo in obbligazioni (bond); dunque, in impieghi ipoteticamente sicuri.
Ma l’inflazione e il declino della Silicon Walley (in particolare, nell’ultimo trimestre del 2022, gli investimenti nelle startup statunitensi sono scesi del 63% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre il valore in borsa dei colossi tech è precipitato) non hanno permesso alla banca di arginare il problema semplicemente attendendo la conclusione naturale degli investimenti.
In particolare, i rialzi dei tassi di interesse (causati dalla politica restrittiva della FED) hanno spinto i clienti ad investire il loro denaro in prodotti finanziari che rendono meglio dei conti correnti e hanno sconvolto il settore tecnologico, affamato di liquidità. Quanto ai bond in pancia all’intermediario, poi, il rialzo dei tassi ne ha ridotto molto il rendimento. A questo punto, sono iniziate a circolare le voci sulla poca affidabilità della banca, e sempre più clienti (soprattutto aziende) hanno scelto di ritirare i propri fondi.
La situazione è precipitata l’8 marzo scorso, giorno in cui Svb Financial group, uno dei rami della banca, ha annunciato la vendita di titoli per 21 miliardi di dollari, prevedendo una perdita di circa 2 miliardi.
Un’operazione ‘disperata’, con cui la Banca si augurava di rimettere in sesto i bilanci. Ma che ha spaventato ulteriormente i clienti e gli investitori e ha determinato una nuova ondata di prelievi da parte dei correntisti.
Il Governo USA è intervenuto venerdì 10, con la decisione di chiudere la banca e ha preso l’impegno di tutelare i proprietari dei conti.
La Signature Bank è un istituto con un patrimonio stimato dalla Fed in 110 miliardi di dollari alla fine del 2022. Anche qui i rialzi dei tassi di interesse hanno spinto i clienti ad investire il loro denaro in prodotti finanziari più redditizi. La banca, peraltro, era già finita sotto i riflettori con il crollo dell’Exchange di criptovalute FTX alla fine dello scorso anno.
In effetti, FTX aveva conti presso la Signature Bank che, tuttavia, secondo la società rappresentavano meno dello 0,1% dei suoi depositi complessivi. A dicembre, dopo il fallimento di FTX, Signature ha dichiarato di aver pianificato di eliminare fino a 10 miliardi di dollari di depositi dai clienti di asset digitali. Questo avrebbe determinato di portare i depositi legati alle criptovalute a circa il 15-20% del totale, e di limitare la quota di depositi provenienti da ogni singolo cliente di asset digitali.
Tale politica, evidentemente, ha convinto le imprese interessate a stornare anche i depositi in moneta Fiat e, altre imprese clienti a lasciare la banca e rivolgersi ad altri intermediari più accondiscendenti.
Il terremoto che ha coinvolto le due banche citate ha anche interessato piccole banche di nicchia, specializzate in valuta virtuale. La Silvergate Bank è nota per i suoi stretti legami con il mondo delle criptovalute. Già colpita duramente dall’implosione di FTX ha trascorso le prime settimane di marzo 2023 bombardata da venditori allo scoperto, abbandonata dai depositanti ed evitata dai partner commerciali.
Ciò premesso va considerato, per altro verso, che la Silvergate Exchange Network (SEN) e la Signet di Signature erano piattaforme di pagamento in tempo reale che i clienti delle criptovalute consideravano fondamentali; entrambe consentivano ai clienti commerciali di effettuare pagamenti 24 ore su 24, sette giorni su sette, attraverso i rispettivi servizi di regolamento istantaneo.
C’è da aspettarsi, forse non a tanto lungo termine, che la chiusura della triade bancaria di criptovalute possa creare problemi al bitcoin, la più grande criptovaluta al mondo, che oggi ha un valore di mercato di 422 miliardi di dollari.
Bene, non è la prima volta che assistiamo a fallimenti così importanti.
E al centro, c’è sempre la finanza americana. Per inciso, anche questa volta sembra che i principali manager delle società coinvolte abbiano venduto prima del fallimento.
Il Presidente ed altri alti dirigenti, già a febbraio, hanno liquidato le quote di Svc in loro possesso realizzando (per loro) buoni profitti.
Se tali notizie fossero effettivamente confermate, forse sarebbe il caso che, questa volta, si intervenga seriamente (e a livello globale) per evitare che le indubbie falle nella legislazione americana dei mercati finanziari finiscano per sconvolgere l’intero mercato mondiale della finanza.
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