Gli interventi previsti dal progetto del Comune approvato dal Ministero dei Beni Culturali in corso di realizzazione.
Alla fine del ‘700 le grandi cinte in opera poligonale del Lazio, nonostante il loro enorme impatto sul panorama della regione, erano virtualmente sconosciute.
La loro riscoperta si deve all’opera di un poliedrico presule francese, L.Ch.Fr. Petit-Radel. Erudito e viaggiatore, egli aveva presentato davanti all’Institut de France a Parigi, nel 1801 prima e poi nel 1803, una rivoluzionaria teoria, che proponeva di vedere nelle maestose costruzioni a grandi blocchi di calcare che egli aveva potuto individuare tanto in Grecia quanto in Italia centrale le testimonianze delle architetture militari del popolo dei Pelasgi, che gli scrittori antichi narravano presenti in queste regioni.
La loro cronologia doveva risalire all’epoca delle cittadelle di Micene, Argo o Tirinto, nella seconda metà del secondo millennio avanti la nostra era. A Segni, prima di allora totalmente sconosciuta anche ai viaggiatori del Grand Tour, alcuni borsisti dell’Accademia di Francia, fra i quali il François Debret, l’italiano Alippi, probabilmente inviato dal grande Giuseppe Micali, l’americano J.I. Middleton e l’inglese Edward Dodwell si divisero intorno al 1807 e negli anni immediatamente seguenti il merito della scoperta e della prima documentazione delle strutture “pelasgiche” della città, redigendo una documentazione delle mura in opera poligonale e del grande basamento del tempio di Giunone Moneta che è rimasta la base della conoscenza archeologica della nostra città fino agli ultimi venti anni del XX secolo.
Su queste stesse strutture, non più con “matita, carta e righello” ma con le prime macchine fotografiche si agiranno alla fine dell’800 – primissimi anni del ‘900 Peter Paul Mackey e Thomas Ashby, a perpetuare con i nuovi strumenti che la tecnologia metteva a disposizione degli archeologici l’avventura della scoperta della città vissuta dagli architetti di inizi ottocento.
Il percorso delle mura dell’antica città di Segni, lungo poco più di 5 km, racchiude un’area di ca. 50 ha, che comprende non solo l’area effettivamente urbanizzata, ma anche la sommità del monte denominata Pianillo e una vasta area ricca di sorgenti d’acqua, dove oggi si trova il ninfeo di Q. Mutius. Lungo il percorso delle mura, costruite a grandi blocchi di calcare, si aprono numerose porte, ingressi principali alla città, quali Porta Foca, Porta dell’Elcino e Porta Saracena, divenuta il simbolo della città.
A un restauro tardo repubblicano si deve invece ascrivere la monumentale Porta Maggiore, ancora oggi ingresso principale al centro storico di Segni. Lungo l’antico circuito difensivo si aprono anche porte di minori dimensioni, chiamate posterule, che servivano per gli spostamenti di tutti i giorni e, in caso di assedio per le cosiddette sortite. Di queste se ne conservano due nel tratto delle mura a monte di Porta Saracena, mentre un’altra, denominata Porta San Pietro, situata al di sotto dell’omonima chiesa, è tra le più suggestive con la sua terminazione ad ogiva.
Descrizione degli interventi
Allo stato attuale il percorso delle mura poligonali di Segni, benché costituisca una delle maggiori ricchezze del patrimonio archeologico della città e principale attrazione turistica, presenta alcune criticità, legate soprattutto a problemi di adeguamento dell’accessibilità e fruizione del percorso di visita.
Con gli interventi di seguito sintetizzati si intende mirare alla valorizzazione e migliore accessibilità del percorso delle mura poligonali attraverso sei azioni mirate.
1. Un primo necessario intervento è quello relativo alla pulizia dei percorsi e, principalmente, di alcuni tratti di mura (pulizia straordinaria su autorizzazione della SABAP Area Metropolitana di Roma e Provincia di Rieti) che, per mancata manutenzione negli ultimi anni, risultano invasi da vegetazione infestante. La presenza di arbusti, rovi e, in alcuni casi anche di alberi che crescono spontaneamente, come acacie e fichi, potrebbero mettere a rischio la stabilità della struttura, facendo crollare alcuni blocchi;
2. Un secondo intervento di assoluta priorità è quello intervenire con interventi di restauro e consolidamento di alcuni punti che risultano a rischio (alcuni blocchi a causa della vegetazione e di presenza di muschio mostrano una superficie assai deteriorata; molti blocchi sommitali sono fuori asse e necessitano di una messa in sicurezza e riposizionamento);
3. Valorizzazione e recupero del tratto di Porta San Pietro e del tratto dello stradello in cui è compresa, che dovrà essere collegato in maniera più semplice e immediata con il complesso monumentale dell’acropoli, anche quest’ultimo dovrà essere dotato di nuova segnaletica e di aree attrezzate;
4. Lo stato di degrado del percorso delle mura poligonali di Segni è dato anche da diversi episodi di atti vandalici che hanno danneggiato soprattutto l’impianto di illuminazione e di recinzione presenti in alcuni tratti (in particolare nel tratto facente capo a Porta Foca e quello che da Porta Saracena si dirige verso il cosiddetto Lago della Fontana, che comprende anche l’accesso al ninfeo di Q. Mutiius). Per far fronte a questi episodi frequenti è indispensabile dotare l’area del percorso di un impianto di videosorveglianza, collegato con Wifi e consultabile, da personale autorizzato, anche attraverso applicazione per smartphone e tablet.
5. Per potenziare la fruibilità del percorso è necessario aumentare la sicurezza dell’intero percorso ripristinando in tutto il circuito l’impianto di illuminazione, che sarà, secondo le nuove direttive del MIC e della Regione Lazio corpi illuminanti a Led per un maggiore risparmio energetico. L’illuminazione sarà concordata con la SABAP Area Metropolitana di Roma e Provincia di Rieti anche per valorizzare alcuni punti di estrema suggestione.
6. Per garantire la sicurezza dell’intero percorso, anche ai soggetti diversamente abili, occorre ripristinare la pavimentazione di alcuni punti a rischio e ripristinare, ove mancanti, i parapetti in legno.
7. Per la valorizzazione e per rendere ancora più attrattivo il percorso delle mura poligonali di Segni si vuole creare, in ogni tratto, delle piccole aree di sosta con arredi perfettamente integrati con il paesaggio e con il complesso monumentale delle mura, ma in grado di essere innovativi e funzionali a una maggiore fruibilità e accessibilità del percorso. Oltre a sedute particolari e appositamente disegnate, richiamando un’immagine simbolica e coniata da alcuni anni per contraddistinguere le aree archeologiche e i complessi monumentali che costituiscono il ricco patrimonio di Segni (un ciclope stilizzato). Allo stesso tempo si vuole potenziare anche la possibilità di visita alle mura attraverso il supporto delle moderne tecnologie, in parte già sperimentate dal Museo Archeologico e che stanno riscuotendo un discreto successo, soprattutto tra i giovani. La visita al percorso, che potrà essere effettuata in maniera del tutto autonoma, potrà essere facilitata e/o approfondita attraverso realtà aumentate, audioguide e ricostruzioni 3D, scaricabili sul posto o direttamente dal sito del Museo Archeologico e del Parco Archeologico Urbano Diffuso “Segni Città-Museo”, andando a potenziare l’App già esistente e aperta denominata #SegniArcheologia.
8. Nuova segnaletica che tracci il percorso non solo delle mura, ma anche tutti i collegamenti con le aree archeologiche e i complessi monumentali che sono compresi nel Parco Archeologico Urbano “Segni Città-Museo”
Il Ninfeo
Il Ninfeo di Q. Mutius a Segni, fontana monumentale perfettamente conservata e databile al tardo II secolo a.C. – inizi I sec. a.C., costituisce una testimonianza fondamentale dell’architettura romana della tarda repubblica.
La firma dell’architetto miracolosamente conservata sulla parte bassa del suo prospetto principale ne fa l’unico monumento di quell’importantissima fase di elaborazione artistica del quale conosciamo tanto la struttura quanto il nome del suo progettista, testimonianza di valore unico per lo studio di un momento formativo dell’architettura romana intera.
Il ninfeo doveva fare parte di un più ampio complesso, del quale conosciamo oggi solo alcune poderose strutture di contenimento in opera poligonale e opera incerta che delimitavano una grande terrazza artificiale.
Il monumento sorge su un fianco di questa terrazza, a mostra monumentale di una sorgente ancora oggi sfruttata per scopi agricoli: esso consiste in un piccolo ambiente rettangolare aperto verso la valle, costruito in opera incerta e strutturalmente legato a una cisterna, posta alla sua destra, che doveva essere alimentata dalle acque della sorgente. Oltre questa, ancora verso la destra del ninfeo, è ben visibile, nell’area acquisita alla proprietà pubblica, un brusco cambio d quota nel profilo del fianco del monte, cambio di quota posto esattamente sulla linea data dalle volte del ninfeo e della cisterna: l’impressione e che numerosi altri ambienti, facenti parte della stessa fronte monumentale della quale il ninfeo costituiva l’ultimo elemento da questo lato, giacciano ancora sepolti nell’area oggi pubblica, e il cui recupero alla conoscenza sarebbe non solo agilmente realizzabile ma anche della massima importanza.
L’interno del monumento è caratterizzato da una vivace architettura: le pareti erano movimentate da nicchie, disposte su di un solo ordine lungo i fianchi e su due ordini sovrapposti nella parete di fondo, che costituiva il prospetto principale del monumento.
Qui, dalla nicchia centrale dell’ordine superiore, la più grande e l’unica rettangolare, sgorgava attraverso una conduttura plumbea l’acqua della sorgente. All’interno di queste nicchie dovevano trovarsi delle statue, come testimoniato dalle impronte di alcune delle loro basi.
La decorazione, realizzata con la caratteristica tecnica del mosaico rustico, sottolineava la partizione architettonica del monumento, ma ne trasformava volutamente l’aspetto in quello di una vera e propria grotta selvaggia: pilastrini e arcate, disegnati con file di conchiglie e perline di un particolare pigmento artificiale detto blu egiziano, formavano fantastici porticati attorno alle nicchie, le quali erano a loro volta rese irregolari con uno spesso strato di intonaco nel quale erano incastonate pietre pomici e grandi valve di molluschi.
Anche la decorazione della volta contribuiva a questa suggestione: la sua superficie era infatti ricoperta da pietre pomici frammiste a blocchetti di una particolare concrezione calcarea detta “spuma di mare”, ancora oggi usata nell’arredo di giardini e fontane.
L’acqua che usciva dalla nicchia centrale ricadeva, infine, in una vasca, profonda circa 60 cm e completamente rivestita di cocciopesto, che occupava lo spazio interno del monumento e nella quale doveva specchiarsi l’intero partito decorativo del monumento, le architetture marine e le nicchie ornate da statue, che nel contempo dovevano dare l’idea di sorgere dalle stesse acque.
L’eccezionalità della scoperta è data tuttavia dalla presenza di un’iscrizione, ben visibile nella decorazione a mosaico rustico al centro del prospetto principale del ninfeo.
Qui, in una cornice formata da gusci di telline e sullo sfondo di un mosaico bianco a tessere irregolari di calcare, si legge, in lettere greche formate da perline di blu egizianio, la firma dell’architetto che progettò il ninfeo: Quintus Mutius. Da alcuni indizi contenuti in questo testo sembra possibile risalire, almeno in parte, alla storia del personaggio. Il fatto che l’iscrizione sia stata redatta in greco dimostra innanzitutto che tale era la lingua madre dell’architetto. Si tratterebbe dunque di uno di quegli artisti greci che, giunti in Italia a partire dal II secolo a.C. sull’onda della conquista del Mediterraneo, divennero i protagonisti di una lunga serie di interventi destinati a trasformare Roma e numerose città del Lazio in centri di cultura ellenistica.
La formula onomastica è tuttavia latina, e apparenta il nostro Quinto Mutio a un Caio Mutio, anch’esso architetto, ricordato da Vitruvio come autore negli stessi anni del tempio di Honos et Virtus, realizzato su commissione del celebre Caio Mario per commemorare la sua vittoria sui Cimbri e sui Teutoni.
Il gentilizio dei due architetti, Mutius, richiama inoltre quello di una grande famiglia della nobiltà romana, i Mucii Scaevolae, i quali vantavano la propria discendenza dall’eroico personaggio che, alla fine del VI secolo a.C., quando l’etrusco Porsenna minacciava Roma, aveva tentato invano di uccidere il re nemico.
Assurti spesso alle più alte cariche statali, più volte governatori nelle provincie asiatiche, i Mucii Scaevolae erano strettamente legati, tanto per appartenenza politica quanto per vincoli familiari, proprio a Caio Mario. Essi inoltre avevano possedimenti ed interessi politici ed economici in numerose località del Lazio.
È così assai probabile che la venuta a Roma dalle regioni dell’oriente greco del nostro architetto, la sua naturalizzazione latina e, come frequente nell’aristocrazia urbana, il suo inserimento nella cerchia di artisti “alla moda” destinati a dare lustro, con la loro attività, ai circoli e alle gentes di appartenenza, sia avvenuta proprio all’interno di questo circuito di relazioni politiche, facente capo a Caio Mario e a grandi famiglie senatorie ad egli legate quali, appunto, i Mucii Scaevolae. Circuito cui dovevano in ultima analisi appartenere i committenti signini dell’opera, da ricercare fra quelle famiglie dell’élite locale, legate al partito dei populares, delle quali abbiamo ripercorso le trecce nell’introduzione storica
Il Ninfeo sorge in un’area importantissima per la storia della città antica. La sorgente, della quale il monumento è mostra monumentale, cade in una ristretta area del fianco della montagna sul quale sorge la città connotata dalla presenza delle uniche fonti perenni della zona. A causa di questa preziosa caratteristica l’area venne racchiusa all’interno delle fortificazioni in opera poligonale della città, divenendo da allora l’area delle acque pubbliche di Segni.
Poco distante dal ninfeo vi è, infatti, il cosiddetto Lago della Fontana. L’area ha perpetuato la sua funzione di nodo centrale per l’approvvigionamento idrico urbano fino ai nostri giorni, ed è rimasta così preziosa per la vita dell’abitato al punto che non solo la zona circostante, ma anche la strada che dalla città portava al “lago della Fontana”, presero il suo nome.
Della struttura antica della Fontana è rimasto poco, probabilmente tracce del muro di fondo in opera vittata d’epoca romana, ristrutturato poi nei secoli XV e XVI, così come si può apprezzare ancora nelle decorazioni attorno alle cannelle delle fontanelle da cui si attingeva l’acqua. Queste fontane dovevano essere coperte da un’area porticata, di cui non è rimasta traccia se non in alcune foto storiche. Di fronte un grosso bacino circolare di raccolta delle acque, che aveva attorno delle vaschette in muratura, di cui soltanto tre ancora perfettamente conservate.
Nei racconti e nella memoria popolare è ancora vivo il ricordo di quando, agli inizi del secolo scorso, tutti gli abitanti di Segni si recavano alla Fontana per attingere acqua o per lavare panni sporchi e pentole di rame nelle vasche in muratura costruite attorno alla grande cisterna circolare. Nel 1910, infine, Segni aderì al costituendo Consorzio del Sembrivio e nel mese di luglio del 1932 l’acqua arrivò finalmente al centro abitato, mettendo fine alla millenaria storia delle sorgenti dell’area della Fontana.
Descrizione degli interventi
Il ninfeo, dopo il suo acquisto, è stato già fatto oggetto di un primo intervento di sistemazione, che lo ha riportato interamente in luce, assieme a una piccola porzione del muro frontale della cisterna, dell’area antistante e alcune strutture, prima ignote. Anche i primi lavori di consolidamento e di pulizia del monumento, hanno messo in risalto aspetti decorativi del tutto eccezionali e che hanno coinvolto studiosi di altissimo livello. La nuova sistemazione consente oggi, con un percorso di visita che si svolge all’interno di un moderno e luminoso padiglione in legno lamellare, che sostituisce il brutto fabbricato che lo aveva inglobato, di apprezzare il monumento nella sua interezza e con una visione architettonica finalmente degna del monumento che reca la firma tra i più importanti architetti del tardo ellenismo.
Tale sistemazione potrebbe essere ulteriormente potenziata con nuovi interventi di sistemazione dell’area, intenti non solo a valorizzare e a potenziare questo meraviglioso monumento, ma anche e soprattutto a renderlo maggiormente fruibile.
La proposta di interventi riguarda in primis la sistemazione dell'area di proprietà comunale del Ninfeo di Q. Mutius tramite la realizzazione delle seguenti opere:
1. Individuazione e realizzazione di un percorso protetto per rendere fruibile e visitabile il monumento ai disabili, tramite innanzitutto la sistemazione dell’area di ingresso alla proprietà comunale in cui è inserito il monumento, con possibilità di accesso a piccole auto di servizio, e di conseguenza la creazione di un percorso che possa permettere al disabile di muoversi agevolmente sia all’interno del padiglione, sia nello spazio esterno (anche con la possibilità di acquisto di terreni adiacenti). Il percorso esterno verrà realizzato in Corten antiscivolo, in continuità con l’allestimento dell’area circostante, mentre all’interno del padiglione saranno posizionate delle lastre di calcare;
2. sistemazione stradello che collega il sito al percorso delle mura e adeguata segnalazione stradale del sito;
3. completa recinzione del sito tramite delle strutture realizzate con materiale che si integra con il paesaggio circostante (legno, pietra calcarea, ferro);
4. consolidamento e pulitura di alcune parti decorative del monumento;
5. sistemazione dell'area dal punto di vista paesaggistico, puntando soprattutto al verde e all’esaltazione degli ulivi secolari e alla disposizione di alcuni tavoli e panchine per creare un’area di sosta e di didattica;
6. allaccio alla rete elettrica, dotando il monumento di un’adeguata e suggestiva illuminazione, che può concorrere alla tutela e alla sorveglianza del luogo;
7. un impianto di sicurezza e videosorveglianza;
8. l'intervento presso il Lago della Fontana, posto anch'esso lungo il percorso pedonale delle mura, consiste nel rendere accessibile l'area tramite il ripristino e il collegamento con via della Mola (dichiarato già sentiero storico CAI n. 732 e adeguatamente segnalato), sistemare l’illuminazione e prevedere il consolidamento e la pulizia della grande vasca.
Il complesso ellenistico di Santa Lucia e l’Ex Convento delle Sacramentine
Il percorso lungo le mura dell’antica città è uno degli itinerari di visita mediante i quali si può raggiungere il complesso ellenistico di Santa Lucia, databile al II secolo a.C. e che è racchiuso all’interno dell’ex Convento delle Suore Sacramentine, acquistato dal Comune di Segni nel 2005. Si tratta dei resti di un grande complesso sostruttivo, databile intorno alla metà del II secolo a.C., impostato su una serie di ambienti voltati affacciati verso la valle e destinati a sorreggere un’ampia terrazza destinata a ospitare un qualche importante monumento, verosimilmente pubblico, a noi oggi completamente ignoto.
Il complesso sorgeva a ridosso della linea delle mura, dalle quali era separato da un grande muraglione di contenimento: nello spazio fra il muraglione e la linea delle fortificazioni trovava posto l’asse stradale che correva al di sopra di queste lungo tutto il loro perimetro. Il muraglione, in cementizio, mostra il paramento realizzato in opera incerta di calcare, caratterizzata dall’impiego di scapoli piuttosto grandi nella parte inferiore ma tendenti a una progressiva diminuzione di dimensioni e a una regolarizzazione della tessitura verso il sommo della struttura. In alcuni punti, alla base, sono da notare settori formati da blocchi di dimensioni ancora più grandi, definibili quasi di opera poligonale.
Il muraglione sorreggeva un’ampia terrazza sulla quale, con orientamento divergente rispetto alla linea delle mura e al muraglione stesso, si innalzava la fronte dell’edificio. Di questa restano oggi tre vani, realizzati in cementizio con paramento in opera incerta di calcare e coperti con volte a botte. La parete di fondo dei vani è costituita da un unico poderoso muraglione, al quale vennero addossati gli ambienti voltati. In ogni ambiente, le pareti laterali conservano, all’altezza dell’imposta della volta, tre grandi fori destinati all’alloggiamento di travi. La volta a botte, ben visibile in particolare nell’ambiente III, era gettata su centina, come testimoniano le impronte delle palanche, e mostra l’accurata disposizione radiale dei caementa di calcare, allettati a mano.
Su questo complesso d’età romana venne edificata in età medievale la chiesa di Santa Lucia, andata distrutta nel bombardamento del 7 marzo 1944. In questo edificio di culto nell’anno 1173 Papa Alessandro III canonizzò Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury.
L’evento della canonizzazione dell’arcivescovo di Canterbury è commemorato da un’epigrafe che si trova nell’odierna Cattedrale di Santa Maria Assunta, posta sul primo pilastro di sinistra per chi entra.
Il testo dell’iscrizione, in latino, recita quanto segue: “Alla memoria eterna di San Tommaso arcivescovo di Canterbury che, convocati i vescovi e gli abati da tutta la Campagna, Alessandro III Pontefice Massimo, nel giorno della purificazione della Beata Vergine Maria, annoverò nel numero dei santi e ordinò che fosse scritto nel loro albo”. Secondo questa iscrizione la canonizzazione avvenne il giorno della Purificazione di Maria, ossia il 2 febbraio, come scritto anche da Bosone nel Liber Pontificalis.
Ma nella copia della bolla pontificia Redolet Anglia fragantia, conservata nell’Archivio Storico Innocenzo III di Segni e datata 12 marzo, è scritto che il rito di canonizzazione fu celebrato in capite jejunii, così come confermano altre lettere che comunicavano dell’avvenuta canonizzazione di Thomas Becket. Molto probabilmente la cerimonia si svolse in capite jejunii, cioè all’inizio del digiuno ossia il mercoledì delle ceneri, che nell’anno 1173 cadeva il 21 febbraio.
L’evento della canonizzazione, inoltre, è riportato anche in una seconda epigrafe, che ci fornisce l’indicazione del luogo in cui probabilmente si svolse parte della cerimonia, alla presenza dei vescovi e abati della Provincia di Campagna.
L’iscrizione fu letta proprio all’interno della chiesa medievale di Santa Lucia dallo storico Gregorio Lauri. Nel manoscritto del Lauri, redatto agli inizi del 1700, si legge: “La chiesa parrocchiale di S. Lucia, nominata anch’essa nella bolla di Lucio III, ha più cappelle et in specie quella di S. Tomaso Vescovo Cantuariense, che fu canonizzato da Alessandro III il 2 di febbraio dell’anno 1173, come oltre le tradizioni, e memorie che se ne hanno, dimostra la seguente inscrizione che in essa chiesa si legge sopra l’altare dedicato al medesimo Santo: “B. Thome Archiepiscopo/ Cantuarien. quem Alexander III/ Pont. Max. in hoc sacro divorum/ in numerum rettulit/ dedicatum”. Anche il Lauri erroneamente riporta la data del 2 febbraio, ma ci informa che l’antica chiesa di Santa Lucia aveva una cappella in onore di Thomas Becket e che probabilmente fu proprio tra le mura della medievale chiesa ormai perduta che si svolse parte della solenne cerimonia di canonizzazione.
Il Lauri, descrivendo la medievale chiesa, aggiunge: “Anticamente haveva questa Chiesa il sotterraneo, residui del quale ancor hoggi si vedono, alcune antichissime pitture e fu ne suoi primi tempi di maggior grandezza”. Proprio all’interno di una delle arcate che costituiscono l’ultimo livello conservato del complesso ellenistico, sono visibili tracce di pittura, purtroppo danneggiate dal tempo e quasi non più leggibili poiché coperte da uno spesso strato di incrostazioni e muffe.
Tuttavia alcuni sondaggi mirati alla sola pulizia hanno messo in evidenza tracce di colore e parte del volto di un Santo, riconoscibile per la presenza del nimbo e in cui sono ben visibili i tratti del volto: occhi, naso e bocca. Dal giardino si accede, su vari livelli al vicino edificio dell’ex convento dlle Suore del SS. Sacramento, al cui interno vi è un piccolo edificio di culto dedicato a San Michele Arcangelo.
Il monastero, denominato appunto di San Michele, fu fondato nella prima metà del ‘700 da Suor Maria Violante Graziani, originaria di Veroli e chiamata a Segni da suo zio don Antonio Altieri, parroco di Santo Stefano.
Suor Maria Vilante giunge a Segni nell’anno 1716, il suo istituto fu approvato il 18 luglio del 1742 da Benedetto XIV e la prima cerimonia di vestizione monacale avvenne il 15 agosto 1749. Per la costruzione del monastero si impiegò pochissimo tempo e tanto l’allora vescovo, Francesco Bisleti (1726 – 1749), quanto il Comune e tutto il popolo di Segni vennero in aiuto con donazioni piuttosto generose.
Da alcuni documenti sappiamo che il nucleo originario del monastero comprendeva soltanto la parte del complesso che si affaccia sull’odierna via A. Manzoni, annessa alla piccola chiesa. L’edificio fu ampliato con il permesso del vescovo Pietro Antonio Luciani, utilizzando il denaro ricavato dalla vendita di alcuni beni appartenenti al convento di S. Marco, ormai soppresso.
Il libro del Monastero, infatti, riporta il rescritto del vescovo e in allegato conserva un foglio in cui la Segreteria di Stato di papa Pio VII concede, in data 6 marzo 1816, che alcuni beni dell’ex convento dei Padri Conventuali, rimasti invenduti, vengano impiegati per l’ingrandimento del Monastero. Il lavoro di ampliamento costò 2.000 scudi e fu eseguito da Benedetto Valenzi, capo mastro muratore, che in quegli stessi anni curò il restauro del Palazzo della Comunità e della facciata della Cattedrale di Santa Maria Assunta.
Il vescovo Alfonso Maria De Sanctis (1928 – 1933), sollecitato da molti segnini, presi accordi con la Casa Generalizia delle Suore del SS. Sacramento a Valenee-sur-Rhone, in Francia, e con la Casa Procura in Roma in via dei Riari, decise di unire le suore del monastero di San Michele con quelle del SS. Sacramento. In quegli anni, precisamente nel 1930, iniziò l’attività scolastica delle suore relativa all’Istituto Magistrale inferiore.
Dopo la seconda guerra mondiale, il moderno edificio delle Sacramentine comprendeva anche la parte del complesso in cui oggi ha la sede la XVIII Comunità Montana dei Monti Lepini – Area Romana. L’edificio che occupa oggi la Comunità Montana è stato costruito negli anni ’60 dello scorso secolo ed è connesso con il complesso del Monastero tramite un ampio cortile interno. Inoltre, la struttura è stata costruita sul luogo dove prima sorgeva la chiesa di Santa Lucia, come si vede dalle mappe catastali, andata completamente distrutta nel bombardamento del 1944.
Descrizione degli interventi
Il complesso archeologico è già inserito all’interno del percorso espositivo del Museo Archeologico di Segni e nei percorsi di visita della città antica e medievale, ma l’intero complesso monumentale necessiterebbe di un recupero, mirato alla messa in sicurezza, fruizione e valorizzazione.
1. Pulizia archeologica del complesso di Santa Lucia e restauro conservativo dell’intonaco nel II ambiente;
2. Messa in sicurezza e sistemazione di almeno parte dei locali dell’ex convento delle Sacramentine, in modo da poter fruire di alcuni spazi e attivare attività culturali e di ricerca per la città di Segni e per il territorio;
3. Musealizzazione, all’interno delle terrazze (percorso nel chiostro), della figura di Thomas Becket, creando una sorta di itinerario della spirituale parallelo e collegato agli altri edifici di culto della città e del territorio di Segni e al cammino della Francigena del Sud;
4. Illuminazione dell’intero complesso, in modo da esaltarne le caratteristiche scenografiche e architettoniche;
Il Museo Archeologico Comunale
Il Museo Archeologico Comunale di Segni è ospitato nell’antico Palazzo della Comunità, costruito nel XIII secolo nel cuore del centro storico della città. Aperto al pubblico per la prima volta nel 2001, ampliato successivamente nel 2006, propone un allestimento interamente dedicato al ricchissimo patrimonio della città antica e medievale e del suo territorio: i molteplici itinerari che si snodano al suo interno divengono poi, all’esterno della struttura, singoli percorsi di visita al Parco Archeologico Urbano “Segni Città-Museo”.
Il percorso espositivo, oltre ad un’ampia ed agevole pannellatura con plastici e ricostruzioni assonometriche, è arricchito da gruppi scultorei di notevole interesse, numerose iscrizioni sacre e funerarie, elementi architettonici decorativi e una vasta collezione di materiale ceramico d’età romana e medievale. Dopo una necessaria introduzione storica e geografica, il percorso di visita si apre con una sezione che spiega l’urbanistica della città antica e il sistema difensivo in opera poligonale di calcare. Il salone principale è interamente dedicato al complesso monumentale dell’acropoli e al tempio della dea protettrice della città: Giunone Moneta, con una piccola sezione rivolta all’esposizione di tutto il materiale votivo. Segue la sala dell’area forense, con due frammenti di statue, inquadrabili entro la metà del I secolo d.C., raffiguranti l’imperatore Augusto e sua moglie Livia.
Per capire il sistema dell’approvvigionamento idrico della città antica è stata inserita nel percorso espositivo una sezione apposita, che presenta i vari sistemi di raccolta delle acque. Tra i monumenti dedicati all’acqua il gioiello dell’architettura romana del tardo ellenismo, il ninfeo con la firma dell’architetto Q. Mutius. Degne di nota sono le statue rinvenute in località “Steccato”, tutte di eccezionale fattura, ma tra tutte spicca quella del tipo della peplophoros. A seguire una breve sezione che ci introduce a quella denominata l’area archeologica del Tempio d’Ercole, a vocazione commerciale.
Interessante l’articolata sala dedicata al territorio, con le produzioni nel territorio dell’antica città, la musealizzazione della villa in località Tre Acacie e del sito archeologico di Colle Noce, un grande complesso termale e santuariale, candidato ad essere identificato con il sito di Sacriportus, teatro dello scontro finale tra Mario il Giovane e Silla nell’82 a.C.
Come una sorta di museo nel museo, chiudono la visita del percorso espositivo del Museo Archeologico Comunale di Segni due piccole sale dedicate alla città nella sua trasformazione nell’altomedioevo e in quella che si è chiamata la “rinascita duecentesca”.
Nella grande ogiva centrale, di quello che doveva costrituire il loggiato al piano primo del palazzo medievale, è esposto un pezzo, visibile anche dall’esterno, che è diventato il simbolo del Museo Archeologico Comunale di Segni: il frammento di un trapezoforo in calcare, in cui è raffigurato un grifo alato. Databile al I secolo a.C., il pezzo è di raffinatissima esecuzione e probabilmente realizzato da un’officina locale.
Descrizione degli interventi
L’adeguamento del percorso espositivo del Museo Archeologico Comunale, attraverso un ammodernamento e aggiornamento di alcuni settori è diventato indispensabile.
In modo particolare è necessario inserire all’interno della narrazione museale i risultati delle ricerche condotte dal Museo negli ultimi 15 anni, oltre alle nuove collezioni in deposito presso i magazzini dello stesso.
L’allestimento del Museo è infatti fermo al 2006, mentre l’attività di ricerca e di studio è proseguita in maniera esponenziale, riscrivendo in parte pagine della storia della città e restituendo altri complessi archeologici, in particolare con il triennio degli scavi del Segni Project, in collaborazione con la British School at Rome e con l’acquisto e lo scavo del Ninfeo di Q. Mutius.
1. Un primo intervento necessario è quello della sistemazione, adeguamento e aggiornamento del percorso espositivo (inserendo nella narrazione del museo tutte le novità emerse dalla ricerca scientifica degli ultimi 10 anni, compresi gli scavi del Segni Project), mantenendo intatta la principale caratteristica dell’allestimento, incentrato su tematiche topografiche con finalità divulgative e didattiche, inserendo anche nuove metodologie di comunicazione dei dati scientifici;
2. Rifacimento del gazebo, che è parte integrante delle sale espositive e in cui è presente un problema di infiltrazione d’acqua
3. Sistemazione laboratorio-magazzino didattico;
4. Sistemazione impianto illuminazione e di riscaldamento;
5. Realizzazione di uno spazio per conferenze e esposizioni didattiche
5 Obiettivi attesi
L’intervento proposto ha come obiettivo principale quello di migliorare la fruibilità e l’accessibilità dei percorsi di visita al Parco Archeologico Urbano “Segni Città-Museo”, attraverso operazioni mirate a intervenire su quelli che oggi costituiscono i punti di criticità del nostro patrimonio archeologico, tra i più ricchi e conservati del Lazio.
La possibilità di percorrere l’intero circuito murario, illuminato e in sicurezza, usufruendo di aree di sosta e informative, restituendo al pubblico un complesso come quello dell’ex convento delle Suore Sacramentine per attività culturali e formative, la sistemazione paesaggistica e della viabilità attorno al Ninfeo repubblicano e al Lago della Fontana e, infine, l’adeguamento e ammodernamento del percorso espositivo del Museo Archeologico Comunale sono tutte azioni unitarie volte alla valorizzazione di queste aree e complessi monumentali.
L’intervento complessivo contribuirà certamente ad aumentare il numero di visitatori, già considerevoli, ma aiuterà soprattutto a rafforzare l’identità culturale di un territorio dallo straordinario potenziale, concorrendo al tempo stesso alla tutela e alla conservazione di beni culturali che travalicano il solo ambito e interesse locale.
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