Da una ricerca storica curata nel 1979 da Don Bruno Navarra il ritratto della città antica nel cuore dei Monti Lepini. Una preziosa ricostruzione della vita comune attraverso l'uso degli appellativi.
Ci sono pagine di storia dei nostri territori che andrebbero riportate alla luce. Conoscere il passato delle nostre comunità è la strada maestra per comprendere il presente e costruire il futuro.
Il Monocolo vuole farlo con una ricerca minuziosa di scritti e testimonianze di cui le nuove generazioni conoscono poco o nulla. E’ anche un modo per far rivivere ai più anziani emozioni e ricordi di un tempo passato ma non per questo da dimenticare.
Alimentare la memoria dei luoghi è un vero toccasana per lo spirito e la mente. Iniziamo questo viaggio da Segni, una città antichissima nel cuore dei monti Lepini.
Nel 1979, in occasione della visita pastorale nella Diocesi Segnina e Veliterna, fu data alle stampe una ricerca storica condotta dal sacerdote Bruno Navarra, al cui nome sono associati interessanti e documentati studi sulla storia di Segni.
“Le relazioni sulle visite pastorali, alle quali spesso fanno seguito le relazioni alla Santa Sede sullo stato della diocesi, sono fonte di preziosa storia locale”, scriveva Mons. Bruno Navarra. Proponiamo alcuni stralci del suo racconto, tratti dal saggio: “Segni, la città che scompare”.
NOTIZIE STORICHE SU SEGNI NELL’800
Quasi tutte le relazioni alla Santa Sede iniziano con un cenno storico su Segni. Alle notizie qui raccolte, lungi dal sottoporle a critica storica, intendo attribuire soltanto valore documentario di ciò che si pensava della storia segnina nel 1800.
Il profilo storico è riconosciuto attraverso le relazioni dei vescovi: Ciotti, Luciani, Ricci, Testa e Sibilia. Seguo il vescovo Luciani, che mi sembra il più completo, integrandolo con notizie ricavate dalle altre relazioni.
“Adagiata tra i monti Lepini, che la cingono da ogni parte, meno che a oriente, Segni domina da questa parte la vallata del Sacco. Aldilà della vallata, lontani molte miglia, si profilano gli Appennini.
Nell’antichità non ebbe altra fama che quella del suo vino aspro e di un suo modo di costruire pavimenti e pareti con frammenti di mattoni misti a calce; da luogo di origine, Plinio, Columella e Vitruvio, lo chiamano opus signinum=opera segnina.
In epoca cristiana, invece, grande lustro le dettero sia Vitaliano che, segnino di nascita, tenne la sede di Pietro, sia altri pontefici romani che, o per sfuggire ai nemici, cercavano rifugio tra le sue mura ciclopiche, o per godere la salubrità della sua aria, d’estate, dalla vicina Anagni, ove risiedevano, qui venivano a riposarsi”.
Segni prende il suo nome dai vessilli (signia) dell’esercito di Tarquinio il Superbo. All’inizio del regno di Tarquinio il Superbo fu fondata sulla cima del monte Lepino.
Dista 36 lapidi miliarie da Roma. Fu sempre fortissimo municipio della romana gente. Da Silla, vincitore su Mario nella battaglia di Sacriporto, fu ridotta a colonia militare, ma poco dopo dal medesimo, reduce dall’Asia, riebbe la primitiva libertà.
Si crede che Segni abbia ricevuto il seme evangelico dal principe degli apostoli, Pietro.
La prima notizia di un vescovo segnino, un certo Santolo, che partecipò al concilio romano al tempo di papa Simmarco, risale al 499.
Il santo e dotto pontefice Vitaliano e celebre perché è stato il secondo apostolo dell’Inghilterra, dopo Gregorio Magno, e promotore della cultura greco-latina e di quella cristiana nell’isola della Gran Bretagna.
Tra i papi che dimorarono a Segni, c’è Alessandro III che nel 1173, con la costituzione “Redolet Anglia Flagrantia” vi canonizzò Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, il quale per difendere i diritti della chiesa fu costretto a vivere esule dall’Inghilterra, e ritornato in patria, subì il martirio nella sua cattedrale, il 26 dicembre del 1170.
All’inizio dello stesso secolo, Pasquale II, a Segni, aggiunse all’albo dei santi Pietro, vescovo anagnino; qui parimenti Lucio III santificò Bruno, preposto da Gregorio VII alla chiesa segnina, e in seguito, invocato patrono della città e diocesi; nel secolo successivo, Onorio III, con le proprie mani gli consacrò un altare nella cattedrale di Segni.
Le memorie e i monumenti, sacri e profani, accumulati da tanti secoli di storia, andarono miseramente perduti quando Segni, nel 1557, fu espugnata e incendiata dall’esercito di Filippo II in guerra contro il papa Paolo IV.
L’esercito imperiale, proveniente dal regno di Napoli, al comando del duca d’Alba, invase questa parte del Lazio. Dopo lungo assedio, Marco Antonio Colonna, con tradimento si impadronì di Segni e la devastò. Tanta sciagura ancora oggi noi deploriamo.
(Le notizie seguenti sono riportate soltanto dalla relazione Testa, 1878).
Molti vescovi segnini furono eccellenti per santità di vita, per dottrina e per le imprese compiute: nel 551 il vescovo Giuliano accompagnò papa Vigilio a Costantinopoli; nel 770 il vescovo Giordano, inviato dal papa Stefano III, si recò da Desiderio, re dei Longobardi; il vescovo Bruno, mai sufficientemente lodato, fi carissimo a Gregorio VII, a Urbano II e a Pasquale II, loro rappresentante in Gallia, in Sicilia, e a Benevento, strenuo difensore dell’Eucarestia contro l’errore di Berengario, e restauratore dei costumi della Chiesa contro il concubinaggio del clero e contro la piaga della simonia.
Né è da passarsi sotto silenzio il vescovo Crescenzio De Angelis che svolse missione pontificie a Subiaco e in Corsica. Sono ancora degni di ricordo i vescovi Lucio Fazini, Lorenzo Grana e Giuseppe Panfili.
Nel medioevo dodici paesi e castelli furono soggetti a Segni: Carpineto, Pruni, Collemezzo, Vicoli, Colleferro, Piombinara, Montelongo, Montefortino (oggi. 1878, Artena), Gavignano, Montelanico, Sacco, Valmontone.
Tolti Montefortino cioè Artena, Gavignano, Montelanico e Valmontone, i cui abitanti ancora oggi fanno parte della Chiesa segnina, gli altri castelli
furon distrutti nel corso dei secoli, come in molte parti d’Italia; Carpineto, invece, quantunque più vicino a Segni che ad Anagni, tuttavia per la negligenza di alcuni vescovi segnini, come afferma il Contelori nella Genealogia dei Conti, fu sottratto a Segni e aggiunto ad Anagni.
Tutte le relazioni sono concordi nell’elogiare la cattedrale segnina, riciostruita dopo l’incendio del 1557, con forma così elegante e ornato così splendido, da renderla insigne tra le cattedrali laziali.
Terminata sotto l’episcopato di Guarniero dei Guarnieri, fi consacrata dal vescovo Giannotti, Il vescovo Testa, a sue spese, separò con elegante balaustrata il presbiterio dalla navata centrale.
I SOPRANNOMI
Nelle visite pastorali dell’800, Segni appare un centro così isolato da non accorgersi dei grandi avvenimenti risorgimentali.
Ad un paese arroccato su uno dei contrafforti dei Lepini nella provincia di Campagna dello Stato pontificio, con una sola strada carrozzabile, la Traiana, percorsa da qualche legno e da gente a piedi e a cavallo, le notizie arrivavano con estrema lentezza. Perché viaggiavano con la lentezza della gente e si diffondevano per mezzo della viva voce, data l’assenza totale della stampa.
Se però ci fosse un dubbio che i Segnini abbiano conosciuto personaggi e fatti del Risorgimento italiano, basterebbero a dissiparlo i soprannomi, nati ed ispirati a quell’epoca.
In nessun paese, come a Segni, si fa grande uso del soprannome.
Ogni buon segnino ha un cognome e un nome, come tutti gli altri mortali, ma, come i personaggi mitici dell’antica Grecia, è più spesso chiamato con un soprannome, ereditato dagli avi, o appioppatogli dalla fantasia viva e salace dei compaesani.
L’aria pungente dei Lepini affina l’intelligenza e rende particolarmente adatto il nostro genio a cogliere il lato comico e caratteristico di ogni persona.
Anche nei poemi omerici, oltre che con i patronimici o con il nome del luogo di origine, i personaggi sono indicati con qualche caratteristica particolare: così Achille è il pie’ veloce, Ettore il domatori di cavalli, Ulisse è la volpe intelligente e astuta, Tersite è il parlator petulante, Tètide è la dea dall’argenteo piede e Giunone dalle bianche braccia.
A Segni “l’altezza dei monti raggiunge le nuvole in mezzo ad un panorama roccioso tanto possente…L’occhio spazia su un affascinante e appena prevedibile quadro di province…Gli steli bruni sui blocchi rocciosi, le rose selvatiche e i gialli rami della ginestra oscillano ovunque.
Lo spirito di un tempo preistorico, di una solitudine preistorica (beato ‘800!...), di un mondo preistorico, grande tanto da far rabbrividire, spira attorno a questi blocchi ciclopici, segnati dal tempo” (Gregoriovus, Passeggiate per l’Italia).
Il soprannome nasce da questo spirito preistorico, mitico, tramandato con le mura ciclopiche.
A sentirsi chiamare con il soprannome non c’è da offendersi, perché, a Segni, non ha un soprannome soltanto chi non è segnino, o è persona talmente insignificante, scialba e amorfa, che mai, in nessun modo, ha interessato gli altri.
Persino i forestieri che vengono a Segni per un ufficio, per un lavoro: maestri, professori, medici, avvocati, ufficiali giudiziari, carabinieri, preti, vescovi, si meritano un soprannome.
Il non averlo farebbe dubitare della loro permanenza a Segni o del loro affetto alla segninità. Lo dice anche il proverbio:”Chi v’è a Segni, i n’è segnato (col soprannome), è segno c’a Segni non gnè stato”:
Generalmente ognuno ha un solo soprannome, ma c’è chi ne ha più di uno: quello paterno, quello materno, quello personale che s’è guadagnato lui con le sue caratteristiche somatiche e caratteriali, con le sue prodezze o malefatte. Avere più soprannomi sta a dimostrare d’essere persona molto interessante.
Anche nell’antichità mitica i personaggi maggiormente in vista erano dotati di più epiteti: Tétide, oltre che dall’argenteo piede, era individuata dagli occhi azzurri, e Giove era il padre degli dei e degli uomini, signor delle tempeste, padrone del fulmine ed altro ancora, perché era il più importante degli dei.
Gli antichi romani usavano l’agnomen e conoscevano gli agnonima bellica, cioè i soprannomi acquistati in guerra, simili alle nostre medaglie di cui i valorosi si fregiano nelle parate militari.
Ma l’epiteto dei Greci e l’agnomen dei Romani differiscono dal soprannome segnino, perché quelli erano personali, questi invece indicano più di frequente la famiglia, la parentela o, come si dice a Segni, la razza, jo cippo.
Infatti da noi l’appartenenza ad un casato più che dal cognome è indicato dal soprannome.
E’ raro il fenomeno del soprannome strettamente personale, non ereditabile, come presso i Romani.
Il cognome ha un carattere legale, è registrato all’anagrafe e in parrocchia, può essere anche ignorato dalla gente, il soprannome invece è vivo come la persona, che, se tu la conosci, la chiami, non con il cognome, neppure con il nome, ma con il soprannome, e se ignori questo, è segno che non conosci la persona.
Nel marzo del 1978, all’anagrafe segnina risultavano iscritti 973 cognomi. I due terzi circa non si riscontrano nei registri dell’800.
Ma anche una ventina di quelli ottocenteschi oggi è scomparsa.
Analogo fenomeno si nota per i soprannomi. Ne ho raccolti 846 molti dei quali sono scomparsi. Oggi, il progresso, l’industrializzazione, la diffusione più rapida delle notizie, la maggior mobilità delle persone, hanno profanato l’incanto mistico della segninità. I Segnini si sono integrati con il resto dell’umanità e il soprannome è andato in disuso, o è scaduto a livello di motteggio fanciullesco.
Nell’800 non era così; i soprannomi, in continuo aumento, erano almeno due volte più numerosi dei cognomi, quindi più individualizzati di questi.
La maggio parte di essi è stata coniata nel secolo scorso e ne rispecchia fatti, personaggi e cose.
Con lo stesso spirito con cui oggi si identificano tra noi personaggi della politica nazionale, facendoli rivivere nel soprannome locale, come Scelba, Scoccimarro, Di Vittorio, Zaccagnini, così nell’800, patrioti come Pepe e Garibaldi, illustri personaggi come Pio IX e Cavour, titoli come re e regina, principe e principino, imperatore e imperatrice. Divennero esemplari cittadini di Segni, beninteso per il soprannome riconosciuto loro dalla gente, come per benemerenza.
E ciò senza iattanza, né irriverenza. Persino il nome sacro di Gesucristo, a Segni, è dato in soprannome ad una famiglia, quasi titolo gentilizio!
I soprannomi derivanti dall’esercito come: Sordato, Caporale, Sargente, Tenente, Caputagnio, Colonneglio e Maggiore, nascono dopo il ’70, quando la leva militare inizia a reclutare anche i Segnini.
Contemporaneamente si diffonde la conoscenza degli strumenti bellici e lo spirito sagace dei nostri nonni ritrova tra i paesani: Bersaglia, Bombardiere e Bombardò; Bombella, Bombetta e Cannò; Pistola e Pistoletta.
I tentativi italiani in Africa di fine secolo e del 1911 sono documentati dai sopannomi: Jafricano, Jàscaro, Maricchino, Maometto, Merelicche, Moro, Negus, la Tigre e Pitò. Non mancano i riferimenti a personaggi di Stati italiani prima dell’unità nazionale e i riferimenti alla cultura; tra i primi ricordo: Caracciolo, Ciceruacchio, Sciarra e Cadorna; tra i secondi: Canova, Clelia, Diomede, Giove, Marziale e Paganini.
Anche i nomi di professioni s’incarnano nelle persone da diventare soprannomi, come : Cancegliere, Cursore, Dottore, Maestro, Marinaro, Ministro, Pretore e Professore, Piloto e Timò.
La religione offre soprannomi in abbondanza, e tu ritrovi a Segni, Caino e Giacobbe; Canonico, Monsignore e Nunzio, Padrefilippo e La Superiora; Redentore e Maddonna; Sanrocco, Sancirallo, Santanna; Santamadre e Santopadre; jo Vesco e jo Vicario.
A documentare il progresso ci sono Lettrica e Machinetta; per il teatro, Arlecchino e Rucantino, Ciangulotta e Pantalò; per la benemerita, Jappuntato; Jamericano è il paesano che torna ricco dall’estero; Strombolo e Palermo sono riferimenti geografici; Conte e Contino scimmiottano la nobiltà; Disertore bolla la vigliaccheria in guerra; Millesimo nasce all’inizio del nuovo secolo; Tamburo e Tamburini ricordano i concerti eseguiti in piazza.
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