Le cronache, accentuatamente e con sempre maggiore frequenza, richiamano episodi di omicidi familiari di cui apparentemente si fa fatica ad individuarne le ragioni.
Il focolare domestico, che per secoli ha rappresentato l’approdo sicuro di ognuno, la famiglia, anche la più allargata, che da sempre offre riparo conforto e aiuto a chi ne è parte, ha smesso di essere quel totem identitario che è sempre stata, quella rete protettiva di persone cui non hai bisogno di chiedere aiuto, loro ci sono sempre e a prescindere quando tu hai necessità.
Il costume dei popoli però è cambiato e non sempre in meglio, quella famiglia, quello scrigno di valori che è stata, si è tramutata per molti in una trappola mortale, dove il sentimento dell’odio ha avuto il sopravvento su quello dell’amore, del rispetto e della fratellanza.
Non è un fenomeno di oggi purtroppo, perché Caino e Abele hanno vissuto ai primordi della civiltà umana e i fratelli coltelli hanno segnato la vita di tutte le epoche.
Di diverso oggi rispetto ad allora c’è forse la sistematicità con cui tutto questo accade, la quasi naturalezza degli eventi consumati all’interno delle mura domestiche, l’inconsapevolezza che talvolta pervade la mente della mano assassina, quasi a volere significare che liberarsi della presenza dei propri familiari, divenuta evidentemente scomoda per una qualche ragione, sia un proprio diritto e non invece il peggiore degli arbitri, come nei fatti é.
Romolo si liberò di Remo, Nerone fece uccidere sua madre Agrippina, Bruto assassinò suo padre adottivo Gaio Giulio Cesare e tanti altri ancora. La storia dell’uomo è costellata di omicidi di potere tra consanguinei, ai moderni però manca proprio la causale del potere, la leva odierna sembra essere quella di volersi liberare della presenza fastidiosa del proprio congiunto.
Il richiamo dei soldi è forse importante, ma non sembra essere il fattore preminente e determinante riguardo a queste vicende, atteso che impossessarsi prematuramente dei capitali di cui poi un tempo si sarebbe comunque diventati eredi, non giova, visto che la giustizia degli uomini quasi sempre riesce ad intervenire per tempo bloccando i beni, per non parlare di quella divina, che probabilmente ne rende ingodibile il frutto ai protagonisti anche solo per un fatto di coscienza.
Ripercorriamo brevemente la cronistoria di questi episodi brutali, tanto efferati che per definirli abbiamo dovuto ricorrere al nome dell’assassino per antomasia, Bruto appunto.
Si inizia con il caso di Doretta Graneris , che il 13 Novembre 1975 appena 18enne, uccise a colpi di pistola la madre, il padre, il fratello di 13 anni e i nonni materni, aiutata nella circostanza dal suo fidanzato Guido Badini, evidentemente soggiogato e plagiato dalla ragazza.
Il 4 agosto 1989 a Parma è invece Ferdinando Carretta a uccidere con un’arma da fuoco il padre Giuseppe, la madre Marta e il fratello Nicola, portando poi i cadaveri in una discarica. Rintracciato nel Regno Unito, confessò davanti alle telecamere di una nota trasmissione televisiva RAI il triplice omicidio e il suo odio nei confronti del padre. Assolto dalla giustizia degli uomini per incapacità totale di intendere e volere, ha trovato poi la morte a soli 61 anni.
17 aprile 1991 Pietro Maso, 20 anni, massacra i genitori Antonio e Rosa nella loro abitazione di Montecchia di Crosara (Verona) con un tubo di ferro e una pentola. Partecipano agli omicidi anche gli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato, quest’ultimo ancora minorenne. Maso è condannato a 30 anni, gli amici a 26 anni, Burato a 13 anni.
Nel 2008 Maso ottiene la semilibertà e grazie all’indulto finisce di scontare la pena nel 2013, ma successivamente è stato nuovamente indagato per un maldestro tentativo di estorsione ai danni delle sorelle, che pure lo avevano quasi perdonato. La sua vita è segnata, i cieli non gli concedono pace, voleva impossessarsi dei beni di famiglia, nei fatti ha soltanto distrutto la sua esistenza e quella dei suoi amici.
il 7 gennaio 1998, a Cadrezzate (Varese), è Elia Del Grande a uccidere con colpi di fucile il padre, la madre e il fratello per impossessarsi dei soldi di famiglia ma, fermato per un controllo casuale in Svizzera, fu arrestato e quei soldi non gli sono serviti nemmeno per pagarsi gli avvocati della difesa.
Si arriva così agli anni duemila, quando il 21 febbraio 2001, a Novi Ligure (Alessandria) Erika De Nardo, 16 anni, uccide insieme al fidanzato succube Omar, la madre Susy con 40 coltellate e il fratellino Gianluca di 11 anni, dopo avere tentato nei giorni precedenti di avvelenare con un topidica. Movente, secondo i racconti di Erika che in un primo tempo cerca di deviare le indagini ma resta incastrata dalle microspie delle forze dell’ordine, i cattivi rapporti con la madre, che non gli permetteva di vivere la vita “libera” come lei desiderava. Erika e Omar vengono condannati nel 2001 rispettivamente a 16 anni lei e a 14 lui.
Oggi sono usciti entrambi dal carcere, lei si è anche laureata in Filosofia nel 2009 studiando durante il periodo di detenzione. Determinante per il recupero di Erika è stato suo padre Francesco, che si era salvato solo perché fuori casa al momento del massacro, il quale scelse fin da subito con grande coraggio di perdonarla, rimanendole sempre accanto per evitare che si autodistruggesse a sua volta. Papà Nardo è stato un uomo santo, come lui credo nessuno altro, a parità di condizioni date.
Il 30 dicembre 2015 Federico Bigotti, 22 anni, uccise la madre Anna Maria con otto coltellate alle porte di Città di Castello (Perugia) postando, subito dopo, una sua foto in cui sorride con la scritta: «Le carezze sui graffi si sentono di più».
Federico fu dichiarato incapace di intendere e di volere e quindi ricoverato in una struttura psichiatrica, da dove credo non uscirà mai più.
Nel 2021 sono due gli episodi di cronaca nera che finiscono sui giornali.
Il 4 gennaio 2021 il trentunenne Benno Neumair, uccide il padre Peter e la madre Laura Perselli strangolandoli con un cordino da arrampicata. La confessione arriverà dopo il ritrovamento dei cadaveri che lui stesso aveva gettato nel fiume Adige. L’omicida é stato condannato all’ergastolo e delle proprietà Neumair il Sig. Benno non sta godendo affatto. Sei mesi dopo mesi dopo, a maggio, le due sorelle Paola e Silvia Zani, 26 e 19 anni, insieme al fidanzato della maggiore Mirto Milani, uccidono la madre, Laura Ziliani, soffocandola e seppellendola vicino al fiume a Temù, in Valcamonica, dove fu ritrovata l'8 agosto 2021, esattamente tre mesi dopo la sua scomparsa. Le sorelle Zani e il loro complice Milani sono stati tutti condannati all’ergastolo.
Il triste caso di Paderno Dugnano dei giorni scorsi non fa che aggiungere pena a tristezza, orrore a miseria.
Riccardo Chiaroni, 17 anni, uccide a coltellate suo padre Fabio, la madre Daniela Albano e il fratellino minore Lorenzo di soli 12 anni, perché voleva “sentirsi libero”, a suo dire la loro presenza li opprimeva.
A nessuno credo sarà sfuggito di rilevare che questi tragici eventi un fattore in comune ce l’hanno, tutti si sono consumati nel corso degli anni dentro la prosperosa provincia Italiana, quella benestante, fatta di lavoro e crescita economica, della piena occupazione, del reddito alto, delle belle auto, delle belle dimore, dei capitali importanti, dove tutto sembrerebbe tradursi in un inno alla vita, alla bella vita.
Non occorre essere sociologi illuminati o psicanalisti ferrati per porsi delle domande e darsi delle risposte sensate.
Perché tutto questo accade laddove il bisogno economico non sussiste e la sola difficoltà materiale sembra essere quella di doversi scegliere il nuovo divano di casa, o il colore della automobile da mettere in garage, sostituendola a quella vecchia di soli due anni?
Beh, l’ozio è padrone dei vizi direbbe scioccamente qualcuno, ma non è quella la ragione che possa giustificare da sola un simile spargimento di sangue.
Accade invece, ma questo è solo il mio pensiero, che la ricca provincia del nord, abituata ormai da anni a fare i conti soltanto con la sua crescita economica, abbia dimenticato il valore famigliare degli affetti e la forza dell’autoritarismo genitoriale, declinandolo verso una sciagurata mozione degli affetti, secondo la quale nella famiglia moderna padre e madre sono amici dei loro figli, non più educatori.
Ed è proprio quello l’errore principale, imperdonabile.
Così facendo non si costruisce la morale della propria prole, non si infonde loro a sufficienza il rispetto dovuto verso gli altri, si sceglie la strada comoda della concessione facile, del regalo immediato, che i figli accettano compiaciuti, salvo annoiarsi solo dopo qualche minuto dall’averlo ricevuto.
Il motto pratico è “chiedi che ti sarà dato”, ma poi crescendo di età il livello della pretesa si alza e ad essa magari i genitori tentano di opporsi purtroppo tardivamente, cercando di mediare, di ritardare, non concedendo più con estrema facilità quanto viene loro richiesto, cercando di intavolare con i propri figli un ragionamento di opportunità, che quelli però non sono in grado di recepire, abituati come sono stati ad ottenere tutto e sempre con estrema disinvoltura. Nascono così nell’animo dei ragazzi, ormai non più bambini, le frustrazioni interiori, il disappunto per una concessione loro negata, il fastidio per la presenza dei genitori improvvisamente diventati ingombranti, un ostacolo per il dispiegamento di una esistenza che la si vuole libera, dove nessuno, neanche papà o mamma, hanno il diritto di imporre o negare alcunché.
Una persona maggiorenne o prossima a diventarlo, ed è qui che trova evidenza il fallimento del ruolo genitoriale, della famiglia propriamente detta, se vuole essere “libero”, cerca la sua strada, si affranca dalle comodità domestiche dove tutto è a portata di mano grazie all’operato altrui, si rimbocca le maniche, agisce in prima persona per costruirsi presente e futuro.
E invece no, qui accade che si eliminano gli ostacoli che si frappongono tra il presente annoiato e il futuro desiderato.
I genitori imparino in fretta il mestiere nell’interesse dei propri figli, ogni regalo, ogni concessione deve essere il frutto di un premio meritato, una conquista dei ragazzi prima ancora che un dare disinvolto, che alla lunga è solo diseducativo.
Certo, restano soltanto parole, nel mentre alcuni si leccano le ferite ed altri si tormentano cercando le ragioni dei propri errori.
Il padre di Erika Nardo invero un insegnamento lo ha dato, ma lui è un uomo santo, i suoi comportamenti non sono replicabili, perché a nessun misero individuo normale verrebbe mai in mente di abbracciare la figlia e perdonarla, quando forse nemmeno mamma e fratello assassinati sarebbero propensi a farlo. Agli altri quindi non resta che correre ai ripari subito, ristabilire le giuste distanze con i propri figli, perché una cosa è essere padre o madre appunto, l’altra figlio o figlia.
Famiglia, Patria ed Onore, questo era il motto di un passato nemmeno troppo remoto. A scuola si andava per imparare, i genitori non menavano agli insegnanti per prendere le parti dei propri figli, anzi il contrario, la sanzione maggiore te la comminavano proprio i genitori tornando a casa, al confronto il rimprovero degli insegnati era una passeggiata di salute.
In aula gli studenti mai si sarebbero sognati di mancare di rispetto ai loro insegnanti.
Coraggio, non è poi così difficile tornare ad essere normali.
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