Riflessioni ad un anno dall'uccisione di Willy Monteiro Duarte.
E’ passato un anno. E’ passato un anno dall’uccisione di Willy Monteiro Duarte a Colleferro (Roma), la sua morte è ancora viva nei nostri cuori.
E qualsiasi notizia di aggressione e violenza, ci riporta a Willy.
Il Presidente Mattarella gli conferisce la medaglia d’oro al Valor Civile: considerando Willy eroe nazionale.
Motivandola "con eccezionale slancio altruistico e straordinaria determinazione, dando prova di spiccata sensibilita' e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un'accesa discussione. Mentre si prodigava in questa sua meritoria azione di alto valore civico, veniva colpito da alcuni soggetti sopraggiunti che cominciavano ad infierire ripetutamente nei suoi confronti con inaudita violenza e continuavano a percuoterlo anche quando cadeva a terra privo di sensi, fino a fargli perdere tragicamente la vita. Luminoso esempio, anche per le giovani generazioni, di generosità, altruismo, coraggio e non comune senso civico, spinti fino all'estremo sacrificio".
In questa frase poche parole per gli aggressori, (come deve essere), ma significative parole per Willy.
Sono queste parole che devono accompagnare il ricordo di Willy: altruismo, determinazione, sensibilità, attenzione al prossimo, senso civico, sacrificio, coraggio.
Sono queste parole che dobbiamo fare nostre e dobbiamo trasmettere alle generazioni sia presenti che future, e rispolverarle nelle generazioni passate… Willy era un ragazzo come tanti, amava stare con gli amici, frequentare luoghi di aggregazione, amava divertirsi, ma era sempre accompagnato dai suoi valori, dalle sue credenze, dalla sua educazione... Willy non si è messo a riprendere ciò che stava succedendo con il suo telefonino, Willy non si è messo in “finestra”, Willy voleva sedare la situazione, riportare la calma… Willy ha avuto coraggio.
La parola coraggio richiama il cuore. Deriva dal latino cor abeo, che vuol dire avere cuore, agire con il cuore.
Il coraggio è quella forza d’animo che ci viene quando facciamo le cose a cui davvero teniamo.
E’ quella forza segreta che ci fa affrontare le paure e i pericoli.
Willy non ci ha pensato due volte a compiere un atto di coraggio, non ha pensato ai pro e ai contro, ma ha pensato ai benefici che poteva comportare agire.
Willy ha tenuto sotto controllo la paura. Willy era abituato ad utilizzare il coraggio per affrontare gli ostacoli e le difficoltà quotidiane.
Uno dei presupposti indispensabili per il coraggio è la consapevolezza di sé stessi, avere autostima di sé. Essere coraggiosi presuppone saper guardare il mondo a 360°, avere una osservazione serena, neutra e priva di giudizi. Willy era stato educato al coraggio. La sua famiglia ha avuto il coraggio di educarlo, non è scappata dall’impegno, non ha considerato l’educazione un percorso da accelerare, e sicuramente non ha avuto un atteggiamento sbrigativo, non ha considerato l’educazione estremamente faticosa.
La famiglia ha sollecitato capacità autonome di sopravvivenza e di progettazione. Ha creduto nelle capacità e nel talento di Willy.
La famiglia di Willy gli ha trasmesso dei valori.
Viene da chiedersi: e gli altri? Cosa facevano? Cosa pensavano? Stavano vivendo l’evento come su uno schermo? Era un videogioco? Stavano provando emozioni? Oppure erano indifferenti? E essere indifferenti non è peggio di essere violenti? Si!
L’indifferenza non suscita ribellioni, non crea coraggiosi, ma paurosi. Potremmo pensare che Willy sia stato ucciso due volte?
Da coloro che gli hanno tolto la vita e da coloro che hanno assistito, inerti e vigliacchi? E come hanno reagito quei genitori che hanno saputo che nessuno, neanche il proprio figlio o figlia è intervenuto per interrompere la violenza su Willy?
Possono pensare che per la crescita dei propri figli il coraggio non sia uno strumento utile?
Queste domande risuonano continuamente nella nostra mente, e non siamo qui a demonizzare coloro che erano presenti.
Per chiarire la motivazione ad un tale comportamento, facciamo uso della psicologia sociale, la quale ci indica che quando siamo dubbiosi, quando la situazione è ambigua e regna l’incertezza, è più facile che guardiamo al comportamento altrui e lo prendiamo per buono; ma anche loro probabilmente stanno cercando una riprova sociale.
Soprattutto in una situazione ambigua, la tendenza di ciascuno a stare a guardare per vedere cosa fa l’altro può causare un fenomeno definito “ignoranza collettiva”. Questo fenomeno è utile per spiegare perchè gruppi di passanti e spettatori occasionali non intervengono a soccorrere vittime di aggressione o incidenti.
Ci sono due ragioni perché chi assiste a un caso d’emergenza difficilmente interviene se ci sono altre persone:
1. la responsabilità di ciascuno si diluisce e mentre ognuno pensa che sia già intervenuto o stia per intervenire qualcun altro, nessuno fa nulla.
2. l’effetto d’ignoranza collettiva “in cui ciascuno decide che, visto che nessuno si preoccupa, va tutto bene”.
La conseguenza di questo ragionamento è che l’idea di essere al sicuro tra la gente può essere del tutto sbagliata: c’è più probabilità di ricevere un soccorso tempestivo quando è presente un unico spettatore.
Cosa fare? Educare al senso civico e rafforzare la stima di coloro che in determinate circostanze si sentono incerti e spaesati e cercano fuori di sé indizi e direttive per il proprio comportamento.
L’evento di Willy, ha riunito le persone nelle piazze e ha reso la cittadinanza partecipativa.
Tutti contro la violenza. I territori si sono uniti ed hanno creato coesione. Da qui la riflessione, che sicurezza, libertà e partecipazione sono imprescindibili, che la sicurezza o fare sicurezza è un concetto interdisciplinare al cui interno sono correlati fattori collettivi, individuali, sociali e culturali.
Il concetto di sicurezza deve essere approcciato quale problema sociale e non esclusivamente e sempre, quale problema delle Forze di polizia.
Delegare alle sole Forze di polizia il tema della sicurezza, significa a lungo termine, raccogliere, da parte dei cittadini, insoddisfazione per l’insuccesso dell’azione e da parte degli operatori di polizia frustrazione per la poca incisività del loro agire.
Le Forze di polizia non possono essere gli unici soggetti attivi nel confronto tra la società e la criminalità, perché la sicurezza viene mantenuta e garantita solo dalla coesione sociale, e quindi non solo il controllo sociale spontaneo, ma quel valore aggiunto che si sviluppa dal rapporto tra cittadino ed Istituzioni, dall’interagire di tutte le forze sane.
Jane Jacobs sociologa canadese, fa presente come alla progressiva perdita del senso comune di appartenenza collettivo corrisponda una altrettanto progressiva contrazione dei livelli di sicurezza delle nostre città.
Willy continua ad essere un eroe perché mette in discussione la società.
Io so chi vorrei essere e voi?
PER APPROFONDIMENTI
Robert B. Cialdini
Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì
(Ed. Giunti 2017)
Amato Luciano Fargnoli
L’eredità di Caino. Guardare dentro la violenza
(Ed. Kappa 2006)
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