Consiglio Nazionale per la Salvaguardia del Paese (CNSP). È così che si fa chiamare la giunta del gruppo militare, guidato dal generale Abdourahmane Tchiani, che nel mercoledì 26 luglio ha deposto il presidente nigerino in carica Mohammad Bazoum. L’oramai ex presidente era stato eletto democraticamente due anni fa, guidando uno degli ultimi Paesi rimasti nella zona subsahariana del Sahel a conservare ancora un regime democratico, all’interno di una cinta di Paesi a regime golpista nati a catena soltanto nel corso degli ultimi tre anni.
È successo che nel 26 luglio scorso il gruppo di militari di Tchiani annuncia il colpo di stato sulla tv nazionale, ordinando l’arresto di quattro ministri, un ex ministro e il leader del partito di Bazoum, scatenando una divisione internazionale ma anche e soprattutto interna, nel continente africano, tra Stati che condannano il golpe militare – Paesi membri dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale – e Stati che invece vedono di buon occhio questo rovesciamento di potere – soprattutto \Burkina Faso, Mali e Ciad, governati oramai dal 2020 da regimi militari filorussi.
La giustificazione che il generale dà del gesto sta dietro la necessità di rimediare alla situazione di forte degrado in cui si trova il Paese dal punto di vista della sicurezza e in generale della cattiva gestione economica e sociale nazionale. Il Niger infatti si inserisce nella regione Subsahariana del Sahel, una regione molto povera di risorse – con l’eccezione dell’uranio, che assicura circa il 20% delle importazioni del minerale a noi europei, per via della sua funzione cardine nel processo nucleare – e che si caratterizza per una forte instabilità politica, dovuta anche al protrarsi del regime coloniale francese, in vigore fino al 1960.
È di conseguenza una zona con un tessuto sociale complesso, in cui da anni ribolle un sentimento antioccidentale che si sta pian piano espandendo, richiamando soprattutto influencer e nuovi piccoli movimenti politici, diffondendo il timore internazionale di un’apertura crescente verso l’interferenza russa.
D’altronde questo timore non è poi così infondato, dato che nella capitale Niamey, durante una manifestazione, centinaia di sostenitori del golpe sventolavano una bandiera russa durante l’assalto all’ambasciata di Francia, tanto che inizialmente molti hanno sospettato ci fosse lo zampino di Mosca dietro la mossa militare, e che, come accaduto già negli Stati confinanti, il gruppo mercenario russo Wagner avesse sostituito l’appoggio militare francese.
In realtà il colpo di stato ha delle radici molto più semplici e più interne.
A quanto pare, è stata l’intenzione di Bazoum di sostituire il comandante della Guardia presidenziale, a seguito di un atteggiamento generale poco conciliante dell’ex presidente nei confronti dell’esercito, a spingere il generale Tchiani a giocare d’anticipo.
Al momento la situazione è complessa: abbiamo da un lato l’Ecowas che, dopo il fallimento delle sanzioni e dell’ultimatum emessi a seguito del golpe vorrebbe muoversi attivamente, anche a fronte della provocazione da parte della giunta di processare l’ex presidente Bazoum per alto tradimento e per aver “minacciato la sicurezza interna ed esterna del Niger”. Dall’altra però c’è l’Unione Africana che, dopo la lunga riunione del 14 agosto, sembra intenzionata ad accantonare per il momento l’uso della forza.
Dall’altra parte ancora c’è l’Occidente e la posizione europea.
Per quanto dinamiche lontane e apparentemente slegate dai meccanismi dello scenario internazionale a cui siamo solitamente esposti, bisogna comprendere che ciò che sta accadendo in queste settimane si ripercuoterà purtroppo inevitabilmente anche nelle dinamiche occidentali, e in questi giorni ci si sta chiedendo proprio quali saranno le mosse europee riguardo la questione. Mantenere un equilibrio in un Paese come il Niger è di importanza vitale. Come analizza anche Lorenzo Guerini (presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), abbandonare adesso il Paese significherebbe in un certo senso lasciare spazio al propagarsi senza sosta di quel sentimento antioccidentale che favorirà inevitabilmente il dilagarsi di movimenti estremisti e di stampo jihadista. Senza contare che sarebbe in qualche modo il certo realizzarsi del timore che si aveva fin dall’inizio, ossia dell’avvicinarsi di Mosca come presenza stabile di supporto al Paese.
Il Niger è d’altronde un Paese di fondamentale importanza per l’occidente soprattutto per la sua posizione strategica, poiché è lo snodo fondamentale delle rotte migratorie. È il perno su cui fa affidamento l’Europa per calmierare i flussi migratori che entrano nel vecchio continente, un ruolo che spetterebbe di diritto alla Libia, che affaccia proprio sul Mediterraneo, se non fosse per le difficoltà di intermediazione che ne impediscono la riuscita.
Come già accennato, occupa una posizione di rilievo anche rispetto ai fronti di espansione del jihadismo internazionale, che da anni oramai sta abbandonando il Medio Oriente per cercare fortuna in Africa - non è un caso infatti che fino a pochissimo tempo fa il Niger ospitasse la più importante struttura di difesa militare Usa in tutto il continente africano.
Infine, bisogna ricordare che fino allo scorso 26 luglio era una delle ultime democrazie nella zona cruciale quale è il Sahel. Se non dovesse rientrare la situazione, si andrebbe a completare un domino irreversibile che provocherebbe un’ulteriore ondata di destabilizzazione generale in tutta l’area.
Cosa succede quindi adesso?
La scelta che si ha nei confronti della situazione in Niger è molto simile – volendo cercare un parallelismo – a quella in Afghanistan del 2021 (seppur con radici, sviluppi ed attori differenti).
Lasciare un Paese così centrale e politicamente fragile in balia dei conflitti interni sarebbe uno scacco matto e lascerebbe la strada spianata per quelle forze che del caos e dell’instabilità fanno il loro potere. Sarebbe un errore come quello commesso già in Afghanistan – ma anche in Mali e Burkina Faso - che non può ripetersi. L’esperienza ci dice che laddove si lascia un vuoto di potere, qualcun altro verrà a riempirlo. Senza contare il fatto che restare inermi, pensando che quanto stia accadendo in Niger non ci riguardi, darà una risposta chiara anche sulle reali intenzioni europee – e anche italiane - rispetto al tema della sicurezza. L’Italia manterrà la sua ambizione ad essere un attore decisivo in Africa, adesso che la Francia sembra essersi fatta da parte? Siamo veramente disposti a perdere il controllo di una regione così importante dal punto di vista della sicurezza internazionale?
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