REPORTAGE ESCLUSIVO SULLO STATO DI ABBANDONO E DI DEGRADO DI NUMEROSI NOSOCOMI
Il Covid-19 ha messo in luce la mancanza di strutture e non si fa nulla per recuperare le esistenti
L'emergenza covid ha evidenziato e riportato al centro dell'attenzione le condizioni in cui versa il Sistema Sanitario Locale.
Dieci anni fa, come si evince dal rapporto annuario statistico del SSN pubblicato nel 2019, c'erano 1197 istituti di cura, di cui il 55% pubblici ed il rimanente 45% privati accreditati.
Tre anni fa, l'assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1000 istituti di cura, di cui il 51,80% pubblici ed il rimanente 48,20% privati.
Un trend decrescente ancora in atto a distanza di due anni, effetto della riconversione e dell'accorpamento di molte strutture.
A settembre 2019 la fondazione Gimbe, che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, ha pubblicato un rapporto intitolato “Il definanziamento 2010-2019 del SSN”.
Nei dieci anni presi in esame (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro; i fondi sono stati tagliati dal governo Monti (8 miliardi nel 2012-2013), Letta (8,4 miliardi di tagli della finanziaria 2014) e Renzi (8 miliardi nel 2015), mentre tra le leggi di bilancio 2015 e 2017 il governo del leader di Italia Viva si è reso responsabile di 8,4 miliardi di euro di mancati aumenti della dotazione del SSN.
Successivamente l'esecutivo guidato da Paolo Gentiloni e il primo governo di Conte hanno bloccato gli aumenti programmati per complessivi 3,7 miliardi di euro.
Tutto questo ha evidenziato, nell'ultimo periodo di emergenza sanitaria, tagli, disservizi e problematiche legate alla gestione degli ospedali.
Un tracollo di posti letto passati da 5,8 ogni mille abitanti nel 1998, a 4,3 nel 2007 e 3,6 nel 2017; si deduce una perdita stimata di 70.000 posti letto negli ultimi dieci anni, con 359 reparti chiusi, oltre ai numerosi ospedali, piccoli e grandi, abbandonati.
In un momento così delicato, durante il quale la sanità pubblica pensa di costruire ospedali da campo in tempi record, fanno riflettere, e lasciano perplessi, le condizioni di desolazione e degrado in cui versano spazi immensi già edificati e progettati a loro tempo come nosocomi.
Le architetture abbandonate sono cicatrici urbane il cui fascino decadente degli spazi in disuso è talmente potente che finisce per essere un'espressione di bellezza senza pari.
Oggi, parlare di queste architetture, è più importante che mai.
Di recente la sindaca di Roma Virginia Raggi si è schierata a favore della riapertura di due ospedali della capitale: il Forlanini chiuso nel 2015 e il S. Giacomo chiuso nel 2008.
Il Forlanini, la più grande struttura al mondo per la cura della tubercolosi, venne inaugurato nel dicembre 1934.
La tubercolosi fino alla metà del XX sec. fu una malattia incurabile e contagiosa; si deve al professor Eugenio Morelli, intorno al 1925 l'idea di creare in ogni provincia italiana un sanatorio per curare ed isolare i malati, per la provincia di Roma il Carlo Forlanini, il più grande e prestigioso istituto scientifico di riferimento.
La decisione di costruire il sanatorio fu presa dopo che, nel giugno 1928, la Confederazione Fascista degli Industriali aveva destinato tre milioni di lire alla costruzione, con successiva erogazione di altri undici nel 1939. Inaugurato alla presenza di Benito Mussolini, capo del governo, fu omaggiato presto della visita del Re Vittorio Emanuele III e della consorte la Regina Elena.
Una struttura immensa formata da quattro grandi padiglioni “polmonari”, due riservati alle donne e due agli uomini, un padiglione ortopedico costituito da 251 posti letto dedicato alle persone affette da forme tubercolari osteo-articolari.
Oltre a questi vi erano altre degenze quali la pediatria, laringologia, chirurgia, ostetricia, ginecologia e una clinica delle malattie dell'apparato respiratorio per un totale di 2060 posti letto nel 1938.
All'apertura l'organico era formato da cento medici, diciassette tecnici specializzati, trenta caposala e ottantadue infermieri a cui aggiungere novecento persone tra cui elettricisti, falegnami, magazzinieri e giardinieri, inoltre personale religioso formato da nove cappellani, quindici suore che alloggiavano proprio nel sanatorio.
Il Forlanini per circa quarant'anni fu gestito a pieno titolo dall'INPS, ma nel 1968 con una legge proposta dall'onorevole Mariotti si sanciva il diritto di tutti i cittadini alla tutela della salute attraverso il SSN, con conseguente qualifica a ospedale.
La separazione dall'INPS avvenne di fatto nel 1971 quando fu classificato “Ospedale Regionale per le malattie dell'apparato respiratorio”, causa di tale cambiamento fu la debellazione della TBC.
In seguito l'accorpamento con lo Spallanzani e con il S. Camillo, durata fino al 1996 quando lo Spallanzani si divise dagli altri diventando Istituto Nazionale di Ricerca Scientifica.
Il primo atto di chiusura è del 2006 firmato dall'allora direttore generale della triade Forlanini - S. Camillo - Spallanzani, poi ratificato nel 2007 dalla giunta Marrazzo.
L'anno successivo nella legge di assestamento del bilancio compare una frase che suona come un campanello d'allarme: “Non più destinato ad attività sanitarie”.
Il chirurgo toracico Massimo Martelli raccoglie cinquanta mila firme di cittadini per chiedere la riconversione della struttura per servizi sociali, nel 2010 verrà nominato commissario straordinario presentando addirittura un piano di ristrutturazione.
La vicenda del Forlanini si colloca nel processo più generale di rientro del deficit sanitario regionale che è iniziato nel 2006 e di dismissioni di ospedali pubblici con il contemporaneo accreditamento e finanziamento della sanità pubblica.
Nel 2014 l'ospedale cessa di essere un immobile destinato alla sanità ed entra a far parte del patrimonio regionale sottoposto a vincolo storico-artistico.
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