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Immagine del redattoreRoberto Felici

LE FILANDE DI BALDABIEOU

IL RACCONTO DI BARRICO STIMOLA NUOVE IDEE PER RIPENSARE LA CITTA'

Baldabieou era l’uomo che vent’anni prima era entrato in paese, aveva puntato diritto all’ufficio del sindaco. Era entrato senza farsi annunciare, gli aveva appoggiato sulla scrivania una sciarpa di seta color tramonto, e gli aveva detto: “Sapete cos’è questa?”. “Roba da donna”. “Sbagliato. Roba da uomini: denaro”.

Il sindaco lo fece sbattere fuori. Lui costruì una filanda, giù al fiume, un capannone per l’allevamento dei bachi, e una chiesetta dedicata a Sant’Agnese, all’incrocio della strada per Vivier. Assunse una trentina di lavoratori, fece arrivare dall’Italia una misteriosa macchina di legno, tutta ruote e ingranaggi, e non disse più nulla per sette mesi. Poi tornò dal sindaco, appoggiandogli sulla scrivania trentamila franchi in banconote di grosso taglio.

“Sapete cosa sono questi?” “Soldi”. “Sbagliato, sono la prova che voi siete un coglione”. Poi li riprese, li infilò nella borsa e fece per andarsene. Il sindaco lo fermò. “Cosa diavolo dovrei fare?” “Niente e sarete sindaco di un paese ricco”.

Cinque anni dopo Baldabieou aveva sette filande ed era diventato uno dei principali centri europei di bachicoltura e filatura della seta. Non era tutto proprietà di Baldabieou. Altri notabili e proprietari terrieri della zona l’avevano seguito in quella curiosa avventura. A ciascuno Baldabieou aveva svelato i segreti del mestiere. Questo lo divertiva molto più che fare i soldi. Insegnare. E avere segreti da raccontare. Era un uomo fatto così”. (Alessandro Barrico, Seta).

Questo racconto è stato ripreso in occasione della promozione di idee per riqualificare i centri storici minori. Spesso gli artisti e i poeti, per la particolare sensibilità, ci danno occasione di riflettere sulla loro capacità di descrivere la vita reale, al di là di quello che può apparire, meglio di qualunque saggio o trattato. La capacità di prevedere oltre l’ovvio, ed il piacere di comunicare i propri segni e le proprie aspirazioni.

E i sogni servono sempre più per recuperare e rivitalizzare le nostre città. Ipotesi per la valorizzazione dei quartieri storici, ma anche periferici.

Ed è sempre più urgente rispondere alle tre sfide lanciate dall’Europa: competizione economica, qualità ambientale e convivenza sociale.

Per tutti questi motivi occorrono idee nuove, non più obsolete, e nuovi strumenti per volare e sognare rispondendo alle nuove e contemporanee esigenze dei cittadini, altrimenti si corre il rischio che, anche esaltando zone storiche e zone dismesse da recuperare, restino soltanto aree mummificate.

E’ vero, ma non più sufficiente, come affermava Bernardo Secchi, urbanista di Siena, Bergamo, Brescia, che “le città vanno giudicate come facciamo con il nostro spremiagrumi, a cui chiediamo solo una cosa: che sprema i limoni”. Bastano l’efficienza delle reti fognarie e gli acquedotti? I marciapiedi adatti ai pedoni? Oggi, più di sempre, occorre altro: la connessione tra i pezzi di città, tra i centri storici e le periferie. I quartieri dormitorio sono condannati a rimanere tali? O qualcuno sta tentando di ricercare nuove funzioni per riacquisire anche i ghetti alla socialità urbana? E i musei, i teatri, gli auditorium, le biblioteche sono sempre quelli? Una sorta di anarchia della città?

Le testimonianze più belle delle città italiane sono opera dei Papi a Roma, dei Savoia a Torino, dei Medici a Firenze, degli Estensi a Ferrara.

E oggi? Secchi scandisce: ”Oggi, chi amministra non vuole assumersi responsabilità. Si vive di trucchi”.

Noi dovremmo inventare la città nuova e memorabile, la città in continua trasformazione che immaginava Italo Calvino. E, invece, siamo ossessionati dalla conservazione. Così non saremo colpevoli di nulla. Ma sbagliamo. Siamo prigionieri della memoria, ma di una memoria pietrificata. Il fare è stato sostituito con il “rottamare”.

Due termini complementari, non certo antitetici. Si può rinunciare a lasciare una traccia? Occorre costruire una città contemporanea senza alcun complesso di inferiorità nei confronti della città antica. Bilbao e il Museo di Frank O.Gehry (nella foto in alto) insegnano. Ecco, mi piacerebbe che qualcuno dicesse: Adesso rimettiamo a posto la città.

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