La UE, le sanzioni contro la Russia e i limiti della guerra economica
- Livio Del Bianco
- 20 ott 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Nel Vangelo di domenica 4 settembre, Luca riporta l’interrogativo posto da Gesù ai suoi discepoli per stigmatizzare la necessità di valutare bene i problemi prima di affrontarli: “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace”.

La domanda è di quasi 2000 anni fa ma sembra molto attuale perché evidentemente c’è ancora chi non fa queste riflessioni.
Probabilmente Putin, quando ha sferrato l’attacco dell’Ucraina, pensava di occuparla molto rapidamente, nel giro di pochi giorni, ma - come il re della parabola - ha fatto male i suoi calcoli e adesso si trova impantanato in un conflitto dagli esisti incerti e con pesanti risvolti.
Quando si verificano queste sottostime dell’impegno militare, generalmente, si assiste ad un’escalation delle operazioni belliche, con un aumento progressivo e graduale nell'impiego delle armi e nell'estensione delle misure militari da parte di entrambi i contendenti; evoluzione che più è lenta e tardiva, tanto più è inefficace.
Tuttavia, se andiamo a vedere i casi più eclatanti della storia, il Presidente della Russia non è stato il solo né il primo a sbagliare la valutazione preventiva di un conflitto (cfr. Vietnam, Afghanistan, etc.).
A guardare bene però, perché anche la NATO e l’Unione Europea hanno fallito le proprie previsioni sulla guerra. Non si intende parlare, però, delle forniture di armi e delle informazioni strategiche che gli alleati dell’Ucraina (si può dire?) hanno fatto arrivare al paese occupato, né di quella combattuta nelle trincee o con i missili che seminano morte, ma della “guerra economica” che è stata dichiarata alla Russia.
Non deve sorprendere l’uso di questo termine; la prima conferma dello stretto rapporto tra guerra ed economia viene dal confronto equipollente tra gli importi degli aiuti economici e delle spese militari che i due partner dell’Ucraina hanno fornito al paese invaso: 12 miliardi di euro dall’UE e 10 dagli Stati Uniti come sostegno dell’economia; 2 miliardi di euro dall’Europa e 23 dagli USA come aiuti militari.
La seconda dimostrazione deriva dalla misura delle sanzioni, perché applicarle così importanti e così vaste vuol dire fare una guerra economica, non meno pericolosa e non meno devastastante di quelle combattuta delle armi, perché, se non semina morte di persone e distruzione delle infrastrutture, produce miseria e ristrettezze, soprattutto sulla popolazione che le subisce, e mira a devastare la struttura economica di chi viene colpito.
Ma le sanzioni, per essere efficaci al punto di interrompere un conflitto, devono rispondere a tre principi: essere drastiche, proporzionate alle risorse economiche del paese da colpire e devono essere sostenute sino al raggiungimento dell’obiettivo. Hanno però due handicap: è difficile valutare i tempi per ottenere risultati concreti, perché dipendono dalla capacità di resistenza del paese colpito (che cercherà di aggirarle attraverso il ricorso alle triangolazioni) ed hanno un notevole costo economico perché attivano contromisure di ritorsione.
Questo lungo preambolo serve per una riflessione sull’operato dell’UE e valutare se è stata seguita una corretta strategia nella guerra economica mossa alla Russia.
Se guardiamo la cronistoria delle sanzioni in parallelo alla (non dichiarata) guerra all’Ucraina, notiamo che l’UE, coordinandosi con gli Usa, è stata abbastanza tempestiva in quanto ha deciso 7 pacchetti di sanzioni (unitamente ad alcune marginali proroghe di provvedimenti esistenti, legati all’invasione della Crimea), due stabiliti all’indomani del 24 febbraio, giorno dell’invasione russa, tre tra il 2 marzo e l’8 aprile e le ultime due ai primi di giugno e il 21 luglio. Gli obiettivi sono stati molto articolati: il settore bancario, sia per la valuta che per i collegamenti al sistema finanziario, l'energia e i trasporti, i visti, il commercio e la portualità, le trasmissioni dei media russi e i beni di diversi oligarchi e membri della Duma.
Tuttavia, se non è facile misurare l’efficacia delle sanzioni applicate dagli USA e dall’UE né semplice comprendere come potranno far desistere Putin dal conflitto, per la mancanza di informazioni chiare sul loro impatto sull’economia di Mosca, sul piano delle prevedibili risposte dell’avversario, il vecchio continente ha fallito in pieno, anzi ha sottovalutato completamente i possibili effetti delle reazioni dell’avversario sino a finire in affanno.
Come tutti sanno, nonostante le sanzioni colpissero diversi bersagli, la guerra economica si è spostata fondamentalmente sull’energia, riverberandosi sulle forniture di gas e di petrolio tra Russia ed Europa, con il risultato che Putin si è trovato tra le mani un’arma di ritorsione molto forte per fare danni all’economia dell’UE, e partecipando alla gara di chi si fa più male pur di danneggiare l’avversario, non ha perso l’occasione anche di creare divisioni e contrasti interni tra i paesi appartenenti all’Unione, per le rilevanti differenze tra loro esistenti in tema di approvvigionamenti e consumi energetici.
Il prezzo medio al PSV (punto di scambio virtuale) nel 2022 è salito progressivamente dai 0,87 €/m3 di febbraio ai 2,50 €/m3 di agosto 2022, mentre il prezzo del petrolio è passato dai 92 ai 120 €/barile nel mese di febbraio per mantenersi a questi livelli fino a giugno e cominciare a scendere solo a luglio.
Se è fin troppo scontato che i conflitti internazionali hanno sempre l’effetto (anche emotivo) di far lievitare i prezzi degli energetici, è compito delle istituzioni agire tempestivamente per contrastare o attenuare il fenomeno, al fine di evitare tempeste all’economia e fenomeni inflattivi incontrollati. Purtroppo l’UE è corsa ai ripari solo il 9 settembre dopo aver essa stessa innestato il ciclone dei costi.
In questa sede, però, non si vuole entrare nelle ragioni della guerra o valutare chi abbia più ragione o da che parte stia la ragione, perché quando c’è un’invasione militare di un paese, con bombardamenti e vittime, è facile individuare chi sta facendo una sopraffazione.
Si vuole invece guardare in casa nostra per stigmatizzare la posizione ideologica di chi non vuole ammettere che l’Europa non ha saputo preventivamente valutare le conseguenze della guerra economica e prendere per tempo le contromisure per cui adesso si va verso un futuro incerto per l’industria, il commercio ed il sociale (vedi riscaldamento delle abitazioni e bollette domestiche). Le analisi e le valutazioni preoccupate sul costo dei carburanti si sprecano, i media ne sono pieni, con crescente preoccupazione già per il prossimo inverno, e con svariate ipotesi di esperti e commentatori che spaziano tra le forme più disparate del risparmio energetico, promuovono l’utilizzo di fonti alternative più o meno green e i rimedi a carovita come il blocco dei prezzi, i contributi ai consumatori o le riduzioni fiscali sulle utenze.
Ma guai a dire che l’UE si è mossa male o in ritardo! Si viene tacciati subito di “filoputiniani” perché l’Europa non si tocca nemmeno quando gli errori, le sottovalutazioni, i ritardi o l’impotenza sono evidenti.
Ci aspettavamo da mesi almeno qualche distinguo, tra gli europeisti più convinti, per riflettere su approcci più meditati alla guerra economica mossa alla Russia, qualche critica costruttiva o qualche suggerimento su come essere più coesi e più tempestivi nell’affrontare un problema determinato proprio dall’energica presa di posizione dell’UE verso il paese invasore, qualche indicazione tempestiva su come contrastare l’inevitabile reazione che avrebbe seguito le sanzioni e gli effetti delle contromisure sulle disomogenee economie dei paesi occidentali.
Nulla di nulla; è stato fatto tutto bene e tutto nei tempi giusti! L’Union Europea ha gestito la situazione al meglio e chi non condivide questa posizione sta con i Russi…
Dispiace invece che non si ammettano errori e che non si comprenda che l’Europa si costruisce anche con la consapevolezza dei propri limiti e delle difficoltà, ascoltando anche le critiche costruttive e soprattutto con uno sguardo più attento a quello che succederà o potrebbe accadere con le decisioni più importanti. La folla sempre plaudente non può fare sempre del bene alla crescita comune.
Oltre all’evidente miopia prospettica dell’UE su quello che poteva succedere all’interscambio con la Russia o sulle probabili reazioni che sarebbero avvenute se lo scontro si portava sul piano delle reciproche forniture, la sottovalutazione degli effetti del conflitto economico ha messo in luce anche l’impotenza dell’Europa nei confronti dei nemici interni: gli speculatori occidentali.
L’occasione delle guerre economiche, infatti, scatena l’appetito degli sciacalli che sono consapevoli come le tempeste sui mercati sono le occasioni più propizie per speculare sui prezzi.
Ma al danno si aggiunge la beffa; dopo aver sentito ministri che riconoscevano candidamente che l’impennata dei prezzi era frutto della speculazione, sottacendo il loro compiacimento per l’aumento delle relative entrate fiscali, scopriamo che l’UE può fare quasi nulla a riguardo.
Infatti la Commissione Europea può stabilire che non si possono pescare le vongole inferiori ai 22 mm di diametro (Regolamento Delegato (UE) 2020/2237) o che la lunghezza delle zucchine deve essere compresa tra i 7 e i 22 cm (Regolamento CE n° 1757/2003) ma contro gli speculatori europei, che drogano le quotazioni degli energetici solo per far soldi alle spalle dei propri concittadini, non può fare gran che: è uno dei capisaldi su cui si fonda l’Unione Europea: la legge del libero mercato!

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