C’è da scommettere che la Lagarde, Presidente della banca centrale europea, nelle riunioni di marzo e maggio incrementerà i tassi di un altro mezzo punto, per poi proseguire con un ultimo rialzo di 25 punti base a giugno.
Naturalmente tale previsione contraddice le precedenti stime che lasciavano immaginare, invece, un aumento di mezzo punto il mese prossimo e di un ultimo ritocco da un quarto di punto quello successivo.
A condizionale tale scelta, secondo il mio punto di vista, è senz’altro la maggiore resilienza dell’economia europea e del mercato del lavoro; ma c’è anche un ulteriore elemento che spinge a ritenere quasi certo una manovra a rialzo dei tassi: la retorica hawkish utilizzata dai membri del board!
Hawk, letteralmente falco, è il termine che ha chiaramente a che vedere con l’aggressività e, conseguentemente, hawkish è l’atteggiamento di chi ha una visione rigida e pessimistica riguardo l’inflazione, preoccupato per l’erosione del potere d’acquisto. Le manovre monetarie e fiscali adottate sono conseguentemente restrittive, caratterizzate dal mantenimento di tassi elevati. A livello di banchieri centrali, non si annoverano negli anni recenti soggetti hawkish: l’ultimo vero falco è stato forse Paul Volcker, in quanto si trovò a gestire l’iperinflazione degli Stati Uniti negli anni ‘80.
A bene vedere, però, tali posizioni aggressive dell’Eurotower non sono una vera sorpresa. In effetti la volontà dell’istituto di Francoforte di continuare ad alzare i tassi di interesse per frenare la crescita dell’inflazione e riportarla intorno al 2% sembrano anche giustificati, in una logica monetarista, dai dati sull’indice dei prezzi al consumo in particolare di Berlino e Roma, che indicano come l’inflazione rimanga più solida delle previsioni del mercato.
In particolare, per la Germania le pressioni inflazionistiche continuano a restare elevate a causa degli alti prezzi di energia e alimentari mentre la crescita dell'indice dei prezzi al consumo si è estesa anche ad altre categorie di beni. Per Berlino, in effetti, il dato finale sui prezzi di gennaio vede un +8,7% rispetto al 2022 e +1% rispetto a gennaio. Intanto l’indice di fiducia delle imprese tedesche segnala che la fiducia delle imprese a febbraio è salita a 91,1 contro le attese di 91,2.
In Italia, invece, la situazione appare più complicata. Il calo del carovita è senz’altro dovuto al ribasso delle materie prime energetiche, ma i dati confermano un leggero aumento nella “componente di fondo” (ovvero, dell’inflazione nettata dai prezzi dell’energia), segno che le pressioni sui prezzi si sono trincerate all’interno dell’economia.
Sempre a gennaio, infatti, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività aumenta, al lordo dei tabacchi dello 0,1%, su base mensile e del 10% su base annua dal +11,6% del mese prima. La stima preliminare dell’Istat era +10,1%. In particolare, la discesa risente dell’andamento delle componenti più volatili dell’indice, fortemente condizionato dall’inversione di tendenza dei beni energetici regolamentati, cioè le tariffe per l’energia elettrica del mercato tutelato e del gas di rete per uso domestico. Resta, invece, forte l’inflazione di fondo, con quella al netto degli energetici e degli alimentari freschi che accelera da +5,8% a +6% mentre quella al netto dei soli beni energetici resta stabile a +6,2%.
Insomma, in definitiva, il contesto dell’area sembra confermarsi certamente di crescita dell’economia europea, ma con prezzi ancora troppo elevati. E tale stato di cose dà ulteriore slancio a chi spinge per una politica monetaria ancora aggressiva.
E per chi volesse la prova definitiva, si veda cosa succede sul mercato dei titoli di Stato. Ancora una volta c’è tensione, con i rendimenti che continuano a salire ed il Btp oltre quota 4,5% per la prima volta da inizio 2022.
* Prof. Enea Franza, Vicepresidente Unipace-ONU, delegazione di Roma di UniPeace-N.U.
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