Perché ai politici si perdona tutto (o quasi), ma non la condotta morale?
Cicerone afferma che al saggio non si addice la politica, l’esercizio della virtù e l’otium intellettuale sono benefici che il saggio può godere solo grazie all’impegno gravoso di quanti si sobbarcano al suo posto la direzione dello Stato. Ma la personalizzazione della politica ha reso sempre più inscindibili vita privata e vita pubblica, tanto che si influenzano e intrecciano reciprocamente con le immancabili conseguenze che ne derivano.
La vicenda Sangiuliano ha suscitato imbarazzo, ma se verrà dimostrata l’insussistenza di comportamenti penalmente rilevanti, resterà solo una scabrosa risibile farsa politica?
Tra i tanti difetti che spesso imputano a noi italiani sicuramente non c’è il moralismo bigotto.
Le profonde e consolidate radici cattoliche del nostro Paese ci rendono elastici e indulgenti nei confronti dei piccoli peccati di lussuria commessi dal potente di turno. In fondo quel che accade tra le lenzuola di premier e ministri è affare loro, sono “debolezze” umane che si dovrebbero evitare, soprattutto nel rispetto del partner, ma….accadono… e la morale della Chiesa cattolica si sostanzia per l’appunto nell’istituto della confessione e del perdono. Completamente diverso invece in un Paese di cultura protestante e intrisa di puritanesimo come gli Stati Uniti, dove il c.d. caso Lewinsky costò al presidente Bill Clinton una gravosa procedura di impeachment. L’Italia si pone agli antipodi del moralismo un po' bigotto statunitense, anzi, tutt’altro.
Però da noi non ci si dimette perché si ha una relazione extraconiugale, serve molto di più! E allora il caso Sangiuliano è davvero solo una questione di gossip? O forse ha una maggiore rilevanza politica? Sono le prime dimissioni del Governo Meloni, in cui nemmeno la Santanché, accusata di truffa ai danni dello Stato, ha lasciato il suo incarico!
La società è cambiata e la politica è cambiata: le competenze, le capacità, il merito, sono criteri di scelta spesso obsoleti che lasciano il posto ad altri inclini al favoritismo, al personalismo; criteri dell’”apparenza” o dell’appartenenza, più che della “sostanza”.
La personalizzazione della politica è entrata nella dimensione del comune sentire della gente: non è più il ruolo a dominare la comunicazione pubblica, ma la personalità.
L’attuale tendenza di forme esasperate di “umanizzazione” delle istituzioni è in controtendenza con quella che fu la rivoluzione moderna, che puntava, in contrapposizione all’assolutismo, a respingere ogni tipo di personalizzazione del potere: la sovranità deve appartenere allo Stato, alla legge, al popolo, mai ad una persona.
Oggi la maggior parte dei sistemi elettorali mirano alla scelta della persona, quindi si ricorre a proporre il personaggio maggiormente gradito dagli elettori come candidato sindaco, presidente di Regione, premier, segretario di partito…; la scelta così non cade su chi è e chi non è in grado di fare proposte importanti, di guidare in modo efficace l’istituzione al cui vertice si candida, ma tra chi è e chi non è “personaggio” capace di intercettare le attese degli elettori. Di qui il declino del discorso politico a cui si è sostituito lo slogan.
La nostra è una politica di forma, ma la forma in democrazia è sostanza e l’uso strumentale della forma è un’arma a doppio taglio: si arriva più facilmente al cuore della gente, ma si rischia di aprire un vaso di Pandora senza poterne controllare le conseguenze.
Proprio perché in democrazia la forma è sostanza si può arrivare al paradosso per cui un disdicevole operato politico viene valutato meno grave di un disdicevole operato morale. In una società superficiale conta solo che nell’apparenza tutto sia perfetto, che si eviti lo scandalo, in accordo col principio “nisi caste, saltem cautem”(se non castamente, almeno cautamente).
Il caso Sangiuliano forse non si esaurirà così, ma la sua esperienza di Ministro sicuramente si, velocemente sostituito dal nuovo Ministro della cultura Alessandro Giuli che è stato già nostro ospite a Segni in occasione del convegno dal titolo “fuga dalla politica tra disincanto e astensionismo”, organizzato dal sindaco, on. Silvano Moffa lo scorso 23 febbraio.
Un incontro per approfondire gli aspetti, cercare di individuare le cause ed eventuali rimedi della crisi della politica e dei partiti che ha condotto al forte astensionismo degli elettori, alla ridotta capacità di fare scelte (di persone, di progetti, di procedure ecc…) competenti ed efficienti nell’amministrare la res publica.
Un pomeriggio di studio con interessanti contributi, esperienze a confronto e testimonianze della politica, della cultura, del volontariato.. a cui partecipò intervenendo il neo ministro Alessandro Giuli, allora presidente del Maxxi (Museo Nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma.
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