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Il viaggio della speranza


Si dice che ogni volta che finiamo di leggere un libro lo chiudiamo con la consapevolezza di essere individui diversi perché arricchiti da infinite parole e numerose riflessioni.

Quello che leggiamo ci cambia e nobilita l’animo.

A volte, però, non sempre si comprende la fortuna di essere istruiti. In Italia si è abituati a sottovalutare il diritto all’educazione scolastica.

Ragazzi e ragazze studiano superficialmente e non comprendono l’importanza di seguire le proprie passioni in un mondo libero, fatto di diritti e libertà fondamentali che, purtroppo, alcuni popoli non conoscono.

Di recente ho conosciuto un uomo che ha lottato mesi interi e ha vissuto inseguendo il sogno di imparare a leggere e scrivere.

Dakarai ha 28 anni e ha rischiato la sua vita per scappare dall’Africa e venire qui in Italia per avere una giusta istruzione.

Ciao Dakarai, piacere di conoscerti. Da dove vieni?

Ciao Cristiana, il piacere è mio. Provengo dall’Africa. Sono nato in Senegal, di preciso a Touba.

La mia era una famiglia poverissima, formata da otto persone. Sei figli maschi, una mamma e un papà. Con noi, nella nostra “casa” vivevano anche i nonni paterni e le mie zie.

Nessuno in quella famiglia aveva un vero e proprio lavoro. Si viveva alla giornata con la paura di sedersi a tavola la sera e non trovare nulla nel piatto per potersi sfamare.

Io ero il più piccolo dei miei fratelli.

A me non toccava quasi mai ne cibo caldo, né acqua potabile e vestiti puliti.

Come impiegavi, Dakarai, le tue giornate?

Passavo il tempo aiutando mia madre e mia nonna a raccogliere quei pochi frutti e ortaggi che potevamo trovare nei campi.

Ci svegliavamo all’alba, prendevamo delle vecchie ceste di vimini e uscivamo. Cercavamo di portarci a casa qualsiasi cosa potesse essere commestibile. Una volta riempita la cesta, cercavamo della legna secca da bruciare e una volta raccolta anche codesta a sufficienza tornavamo a casa per preparare il pranzo per tutti.

Poi sono cresciuto e ho iniziato ad allontanarmi da casa in modo autonomo e ho iniziato a conoscere altro tipo di persone.

Da lì ho iniziato a chiedere ai miei genitori il permesso di andare a scuola oppure alle lezioni che si tenevano per i giovani ragazzi in moschea.

Nonostante i miei sforzi e le mie suppliche, essendo il più piccolo di una famiglia povera, ed avendo già cresciuto altri cinque figli senza il minimo grado di istruzione, i miei genitori vedevano la possibilità di imparare a leggere e scrivere come un qualcosa di inutile. I miei fratelli avevano trovato lavoro come contadini nei campi e si erano sposati lo stesso, mettendo al mondo dei figli anche senza aver studiato una sola lettera dell’alfabeto.

Forse il no che ho ricevuto dai miei mi ha fatto scattare qualcosa dentro tanto forte e tanto grande da farmi desiderare un futuro diverso. Volevo a tutti i costi imparare a leggere.

Il mio più grande sogno nella vita era quello di leggere un libro e per inseguirlo decisi subito di intraprendere il grande e pericoloso viaggio che mi ha portato qui in Italia.

Il tuo nome Dakarai, in lingua africana cosa significa?

Allora Cristiana, Dakarai significa allegria. Il mio nome rappresenta tutta l’Africa.

Il popolo africano è un popolo allegro, sorridente e molto caloroso, sarà forse, per le alte temperature, questo non lo so. Ma chi viene in Africa in vacanza, da visitatore, ci lascia il cuore, va via con l’anima colorata e il sorriso sulla bocca.

Qui in Italia mi sono costruito una famiglia tutta mia e a mio figlio Samir ho insegnato proprio questo: sorridere sempre perché la vita è una. Non arrendersi mai e studiare, sempre e tanto perché non è mai troppo l’impegno che si impiega nell’ingrandire le proprie conoscenze.

Io sono arrivato qui in Italia, dopo un viaggio durato due anni.

Ho attraversato a piedi o con i pochi mezzi a disposizione tutto il deserto de Sahara, senza la possibilità di riposarmi in un letto decente o senza mai consumare un pasto caldo. Di giorno si moriva di caldo e di notte si pregava di non morire assiderati. Ho pregato alzando le mani al cielo tutte le notti, ho supplicato Hallah di farmi arrivare in Marocco tutti i giorni.

Ho camminato incessantemente ogni giorno, senza mai lamentarmi e senza mai voltarmi indietro.

Una notte stanco di tutti e soffocato da tutto ho fatto i bagagli e ho detto a mia madre tornerò a prendervi da vittorioso. Nel 2016 sono arrivato in Italia all’isola di Lampedusa e da quel momento la mia vita è cambiata.

Qual è stato il momento più brutto di tutto il viaggio?

Il momento più brutto del viaggio è stato nel deserto.

Il mio amico Samir e io ci eravamo affidati a dei trasportatori che ci avevano assicurato di arrivare in Marocco, pagando a loro dei soldi.

Purtroppo, i soldi racimolati in due bastavano per trasportare uno solo di noi, Samir si è fatto da parte e mi ha lasciato partire. Ha insistito a tal punto che io sono salito sulla corriera senza pensarci due volte.

Prima di partire mi ha detto di lottare e di raggiungere i miei obbiettivi.

Mi ha fatto giurare che, se avessi avuto un figlio lo avrei chiamato come lui. Infatti, mio figlio si Chiama Samir.

Non ho più rivisto il mio caro amico. L’ho cercato dopo essere arrivato in Italia e dopo essermi ambientato.

Purtroppo, in ambasciata mi hanno detto che Samir fu ucciso qualche giorno dopo la mia partenza dai trafficanti di uomini. Stava cercando un’altra soluzione per poter partire e si è rivolto a gente losca.

Io mi sento in colpa ma allo stesso tempo Samir è vivo ogni volta che leggo o scrivo qualcosa.

Hai detto che ti sei sposato, parlami della tua famiglia, se ti fa piacere.

Certo, io sono orgoglioso della mia famiglia. Qui in Italia quando ero garzone in una comunità che accoglie noi migranti, ho conosciuto Emanuela, una ragazza bellissima, mora, formosa, con gli occhi scuri e la carnagione banco candido. Emanava amore e fiducia.

Me ne sono innamorato subito ma ovviamente la tenevo a distanza. Lei bellissima, istruita e assistente sociale, io un tutto fare analfabeta che non aveva mai preso in mano una matita.

Con il tempo lei mi ha avvicinato e mi ha dimostrato da subito il suo amore. Mi ha portato a casa sua e mi ha presentato i suoi genitori.

Quello è stato un giorno, forse l’unico della mia vita, in cui mi hanno tremato le gambe. Avevo paura dei pregiudizi. La mia pelle nerissima e la loro bianca. La notte contro il giorno, l’oscurità contro la luce. Noi neri non facciamo caso al colore della pelle, voi bianchi siete schifati dal colore della nostra pelle. Invece i miei suoceri mi hanno accolto da subito.

Mi hanno aiutato, mi hanno fatto sentire meno solo, mi hanno dato i soldi per studiare e finalmente mi sento parte di un qualcosa.

Finalmente potevo e posso dire famiglia. Ad oggi continuo a lavorare ma grazie alla mia nuova famiglia sono un operaio. Ho potuto realizzare il mio più grande sogno.

Il primo libro che ho letto, l’ho letto in lingua africana. Sono tornato in Senegal da vittorioso e ho comprato il mio primo libro davanti alla commozione di mio padre e mia madre.

Aiuto la mia famiglia africana mandando dei soldi ogni tanto e mantengo la mia famiglia insieme a mia moglie. Porto i miei suoceri in vacanza nel mio paese e loro possono dire qui a Roma che ogni anno partono per un bel viaggio in mete che non tutti possono permettersi.

Il mio viaggio della speranza si è concluso bene. Il mio viaggio era motivato dalla consapevolezza che lo studio e la cultura rendono l’uomo libero.

Ringrazio Dakarai per aver condiviso la sua importante storia.

Chiudo questa intervista consapevole di essere anche io un’altra persona. Ogni libro che chiudiamo ci rende migliori. Ogni persona che conosciamo o che incontriamo anche una sola volta nella vita ci cambia.

Testimonianze così importanti devono spronarci a non mollare. Studiare è importante. Nessuno saprà mai essere sé stesso se non ha gli strumenti giusti per capirsi.

L’anima va nutrita di ogni singola briciola che si può raccogliere da sotto il tavolo dei sapienti. La vera ricchezza non sono i soldi ma è avere cultura.



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