Giorgia Meloni si sente più forte di un anno fa: ha subito chiuso la porta alle scontate polemiche “postfasciste” che ne hanno accompagnato la nomina, ha annacquato non poco il suo programma economico in chiave post-draghiana, ha imparato a tenere contatti con le cancellerie e i premier del mondo tenendo una linea da “falco” pro USA e NATO sull’Ucraina (superando anche molte perplessità interne), ma ora sa di aver davanti a sé e a tempi brevi uno snodo importante: l’Europa.
Non si tratta solo del prossimo turno elettorale, delicato per Fratelli d’Italia (ma che in ogni caso vedrà moltiplicarsi la sua pattuglia parlamentare) quanto scegliere come tenere i rapporti con Bruxelles in una partita soprattutto economica e da giocarsi già nelle prossime settimane, ben prima del voto europeo.
Da una parte la Meloni vorrebbe tenere un atteggiamento più rigido con Bruxelles anche in chiave di contrapposizione e quindi di visibilità elettorale, ma - come leader del gruppo “Conservatori e riformisti europei” - sa che solo tessendo una rete di buoni rapporti personali potrà costruire con il PPE una possibile quanto complicata alleanza post voto, capace di esprimere una maggioranza per eleggere la prossima Commissione europea.
Oggi l’Italia resiste sul MES (sua unica e vera carta di pressione), ma avrebbe contemporaneamente bisogno di maggiori flessibilità di bilancio – e quindi di accordi - per poter varare più ampi riforme fiscali e sociali in “finanziaria” mentre la BCE - con l’aumento continuo dei tassi - sembra far di tutto per complicare i problemi dell’esecutivo italiano sul quale pesa come un macigno il maxi-debito pubblico pregresso.
Ma c’è un altro aspetto del problema: il commissario direttamente coinvolto per le questioni economiche è proprio quello italiano ed è Paolo Gentiloni, già esponente PD e quindi oppositore politico all’attuale governo.
L’ipocrisia declama che - quando viene nominato - un Commissario Europeo si ponga su di una base di assoluta indipendenza politica spogliandosi della propria provenienza nazionale, ma queste sono – appunto - delle beneamate ipocrisie, mentre i 27 commissari sono lì apposta – in concreto - a rappresentare prima di tutto anche gli interessi dei propri paesi.
La loro stessa elezione avviene su una base parametrata al “peso” che ciascun paese ha nella UE.
All’Italia spetta sempre quindi un posto di prima fascia, ma Gentiloni è stato piazzato proprio all’economia, ovvero in un ruolo-chiave all’interno della Commissione e la recente larvata critica della Meloni (che ha sussurrato come Gentiloni difenda poco agli specifici problemi “tricolori”) è probabilmente solo un primo assaggio delle tensioni prossime venture.
Ricordiamoci che – dopo una lunga e prestigiosa carriera - Paolo Gentiloni è arrivato a Bruxelles soprattutto perché nel 2019 il PD – di cui tra l’altro stato fondatore – era ai vertici e con i numeri per nominarlo.
Oggi il partito all’opposizione ed è ovvio un potenziale attrito politico, soprattutto perché proprio Paolo Gentiloni ha tutte le caratteristiche per diventare il potenziale, prossimo segretario del PD con il quale ha percorso tutta la sua carriera declinando man mano la genealogia che si è succeduta nel centro-sinistra italiano.
Se la Schlein avesse un infortunio elettorale alle europee, difficile che dalle parti del Nazareno non si apra una nuova guerra per la segreteria e Gentiloni sa bene di poter essere un potenziale ottimo papabile,
Se quindi dall’ipocrisia passiamo alla realtà è difficile pensare che, per esempio, possa fornire qualche “aiutino” extra a una sua decisa avversaria politica e di cui è (e ancor di più potrebbe essere nel prossimo futuro) un competitor diretto o si scaldi su alcuni dossier (vedi gli accordi tra ITA e Lufthansa) che sarebbero una possibile “medaglia” per il governo.
Ovvio che questo atteggiamento non è gradito a Palazzo Chigi che metterà sempre più le mani avanti sottolineando anche lo scarso impegno di Gentiloni a difendere la posizione italiana.
E’ fatale quindi che la distanza tra governo e commissario si accentuerà e che si arriverà a un confronto (speriamo non allo scontro) visto - soprattutto - che la Meloni ha ereditato un deficit mastodontico, un PNRR che è difficile da rispettare, un MES che non convince e con sullo sfondo il potenziale ritorno a quel patto di stabilità che era e resta un obbiettivo ben difficile da raggiungere e soprattutto mantenere negli anni.
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