Gli “scandali” in ambito bancario e finanziario
La crisi finanziaria degli ultimi anni ha evidenziato certamente “problematiche” legate a violazioni degli obblighi informativi e comportamentali degli intermediari, che avrebbero certamente potuto essere minimizzati, quanto meno in senso quantitativo per quanto concerne le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli, in presenza di competenze finanziarie più solide da parte dei sottoscrittori dei titoli.
Peraltro, già gli scandali finanziari come quelli che hanno avuto ad oggetto i bond collegati al default dell’Argentina ovvero i crack di Cirio e Parmalat hanno provocato una enorme mole di contenziosi, accelerando peraltro alcune riforme legislative (dalla cd. legge di tutela del risparmio – L. 262/2005 – in poi). Le recenti vicissitudini che hanno visto coinvolte le banche venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) rappresentano ulteriori esempi di clientela “inconsapevole” del prodotto finanziario che acquista, delle caratteristiche dello stesso e delle regole volte ad un corretto operare delle banche. I risarcimenti danni derivanti dalle perdite provenienti dall’acquisto delle azioni – illiquide - delle citate banche (che da un valore massimo di 62 euro sono scese a 0,1 euro) hanno innescato un nuovo filone giurisprudenziale, che già sta evidenziando effetti, direi destabilizzanti, sul settore bancario.
Dunque, l’intera vicenda determina, al di là delle intenzioni dei protagonisti, conseguenze capaci di distorcere il corretto rapporto tra debitore e creditore, per cui l’investitore finisce per assumere la veste di risparmiatore alterando l’intero sistema delle garanzie previste per il sistema.
Ne discende che una appropriata educazione finanziaria dei cittadini diviene una necessità imprescindibile per l’equilibrato sviluppo dei mercati finanziari, per un migliore rapporto tra clienti e intermediari, nonché per un corretto utilizzo degli strumenti a disposizione dei clienti. In merito, peraltro, non pochi giuristi hanno sostenuto come, la carenza di cultura finanziaria abbia contribuito all’affermazione di perverse logiche di moral hazard e, d’atro verso, nell’ottica di garantire la tutela del consumatore, i giudici statali si sono spinti, nei giudizi sui casi di cd. “risparmio tradito”, fino a decisioni che come ha osservato il Prof. M. Pellegrini, in un suo datato ma sempre valido contributo (“le controversie in materia bancaria e finanziaria”, pubblicato su bancaria) sembrano essere dettate da una eccessiva need of protection, attraverso una sorta di “compensazione sociale”.
Dunque, l’innalzamento del livello delle competenze finanziarie dei cittadini con un’azione diffusa ed organica di informazione e di educazione è necessario per consentire ai risparmiatori di valutare il più correttamente possibile opportunità e rischi delle scelte di investimento, ed alimentare l’efficienza del sistema e un suo costante miglioramento nell’ottica di sana competitività dello stesso.
Gli studi sulla financial literacy
La necessità di innalzare le conoscenze dei principali concetti finanziari e la consapevolezza dei risparmiatori impegnati nelle proprie scelte di investimento, ha condotto all’istituzione già nel 2013, da parte della International Organization of Securities Commissions (IOSCO), del Committee on Retail Investors, con un mandato focalizzato su educazione finanziaria e financial literacy (alfabetizzazione finanziaria), con il compito di monitorare l’emergere di problematiche afferenti la protezione dell’investitore.
Secondo lo IOSCO, infatti, una più elevata financial literacy dovrebbe consentire: - decisioni di risparmio e investimento più informate;- migliori strategie di pianificazione finanziaria e previdenziale;- elevata partecipazione ai mercati azionari;- consapevolezza dei diritti e delle responsabilità degli investitori;- correzione dei disallineamenti tra interessi di industria e investitori nei termini di una riduzione dei casi di mis-selling e di mis-buying e, conseguentemente, del contenzioso;- valutazioni d’adeguatezza più attendibili;- innalzamento della capacità degli investitori di identificare e prevenire le frodi e, conseguentemente, riduzione delle perdite derivanti da casi di abusivismo. L’Europa è pienamente consapevole di quanto sopra indicato, tanto che i programmi di educazione finanziaria sono tra gli obiettivi principali da realizzare nel prossimo futuro.
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha sintetizzato lo status di implementazione nei vari Paesi delle strategie nazionali per l’educazione finanziaria: da tale survey è emerso che in Italia non esisteva (fino ad oggi) una strategia nazionale.
Non è dunque una sorpresa il fatto che l’Italia non spicchi a livello mondiale per livello di educazione finanziaria dei suoi cittadini. Un’indagine condotta già nel lontano 2012 dall’OCSE sul livello di alfabetizzazione finanziaria dei quindicenni ha rilevato che tra gli studenti dei Paesi dell’area avanzata gli italiani erano gli ultimi.
Una rilevazione del 2015 realizzata dall’agenzia di rating Standard & Poor’s sull’alfabetizzazione finanziaria degli adulti ha fornito risultati analoghi.
Con specifico riferimento alle decisioni di investimento, il Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, pubblicato a settembre 2017, conferma le evidenze raccolte in ambito internazionale in merito alle limitate conoscenze finanziarie dei cittadini italiani, che si accompagnano a una scarsa consapevolezza dei passaggi fondanti delle decisioni di investimento (definizione degli obiettivi, valutazione della propria attitudine al rischio, ecc.) e a una diffusa sopravvalutazione delle proprie competenze in materia di scelte economiche e di investimento. In particolare, è risultato come circa la metà dei soggetti intervistati abbia dichiarato di non conoscere ovvero abbia definito in modo errato il concetto di inflazione; solo il 47% degli intervistati è risultato in grado di definire correttamente alcune nozioni di base, quale il rapporto tra rischio e rendimento. Sono dati che parlano da soli.
Le ultime rilevazioni disponibili confermano come conoscenze e competenze finanziarie dei cittadini italiani rimangano insufficienti rispetto alla complessità delle decisioni da effettuare e ai rischi da affrontare.
Sotto questo aspetto studi empirici dimostrano che iniziative di educazione degli investitori sono utili per il loro effetto indiretto sulla consapevolezza degli investitori delle loro capacità finanziarie, allertando il consumatore finanziario a riconoscere i propri limiti ed, eventualmente, a chiedere un adeguato supporto professionale al fine di migliorare le loro scelte di investimento, o la propria condizione finanziaria.
Le iniziative in Italia: dagli studi sull’alfabetizzazione finanziaria alla Strategia nazionale per l’educazione finanziaria
Per incentivare il raggiungimento di una adeguata financial literacy, in Italia sono state assunte apposite iniziative da Banca d’Italia e Consob, che stanno portando avanti dei programmi destinati ad una maggiore consapevolezza dei diritti degli utenti (es. Carta dei consumatori) e una campagna di alfabetizzazione in materia economica e finanziaria, rivolta sia agli studenti che agli adulti, anche attraverso il sempre più stretto coinvolgimento delle associazioni dei consumatori. In tale contesto, per inciso, non può prescindersi dall’incentivazione e dall’utilizzo dei sistemi di Alternative Dispute Resolution in ambito bancario (ABF in ambito Banca d’Italia e finanziario (ACF in ambito Consob). Già nel discorso al mercato nel maggio 2016, il Presidente della Consob ebbe a sottolineare che «le regole i controlli sono necessari, ma non sono sufficienti», e che «qualsiasi misura non basta se il risparmiatore non è in condizione di comprendere le informazioni che riceve, soprattutto in una realtà che è diventata sempre più complessa».
Messaggio enfatizzato anche nelle successive relazioni annuali. Conformemente, il Governatore della Banca d’Italia ha sottolineato come «la vigilanza non può sostituirsi ai risparmiatori nelle scelte che sono chiamati a fare per l’allocazione della propria ricchezza. L’educazione finanziaria è ovunque componente essenziale delle politiche di tutela del risparmio, in sinergia con gli altri strumenti. Scelte finanziarie adeguate sono infatti associate ad una più elevata e più sicura ricchezza finanziaria […]».
I piani per l’educazione finanziaria partono da queste premesse. In Italia le iniziative di educazione o alfabetizzazione finanziaria svolte da tanti altri soggetti sono numerose, a volte anche di qualità elevata. Il problema è che sono eterogenee e frammentate, poco pubblicizzate e spesso di dimensione troppo contenuta. Un difetto tipicamente italiano, che ritroviamo anche in altri campi.
Una strategia nazionale di educazione finanziaria è l’obiettivo dell’istituzione del Comitato di programmazione e coordinamento delle attività di educazione finanziaria[36] (che ha iniziato i propri lavori[37] il 6 settembre 2017), previsto dall’art. 24-bis della legge n. 15/2017 (legge di conversione dell’emendamento al decreto “salva risparmio”: D.L. 237/2016), che pone le premesse per la realizzazione anche in Italia di una “Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale”, mirante ad “allineare” il nostro Paese alle migliori prassi internazionali.
I lavori del citato Comitato hanno già condotto alla creazione del portale pubblico di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale denominato “Quello che conta”.
Per quanto concerne la Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, quest’ultima si conforma, come si può leggere dalla relativa relazione, ai seguenti principi: a) organizzare in modo sistematico il coordinamento dei soggetti pubblici e, eventualmente su base volontaria, dei soggetti privati già attivi nella materia, ovvero di quelli che saranno attivati dal programma, garantendo che gli interventi siano continui nel tempo, promuovendo lo scambio di informazioni tra i soggetti e la diffusione delle relative esperienze, competenze e buone pratiche, e definendo le modalità con cui le iniziative di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale possano entrare in sinergia e collegarsi con le attività proprie del sistema nazionale dell’istruzione; b) definire le politiche nazionali in materia di comunicazione e di diffusione di informazioni volte a promuovere l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale; c) prevedere la possibilità di stipulare convenzioni atte a promuovere interventi di formazione con associazioni rappresentative di categorie produttive, ordini professionali, associazioni dei consumatori, organizzazioni senza fini di lucro e università, anche con la partecipazione degli enti territoriali.
Una bozza della Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale è stata sottoposta a consultazione pubblica dal 16 aprile 2018 al 31 maggio 2018 e le direttive principali si basano su iniziative indirizzate all’intera popolazione e iniziative che possono raggiungerne fasce ampie, la creazione un “sistema di incentivi” che rendano l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale perseguibile e sostenibile nel tempo, nonché sulla necessità di puntare su programmi di alta qualità, innalzare la qualità dei programmi esistenti, potenziando la capacità di valutare la qualità di quanto viene offerto.
Quanto sopra rappresentato, un ottimo punto di partenza, che va integrato con un lavoro di tutti i soggetti interessati per provocare il “cambiamento culturale” auspicato e per lo stimolo di iniziative a favore della piccola imprenditoria, che in tale contesto di generale protezione sembra comunque rimanere fuori.
Purtroppo, la stagione del COVID19 e la successiva crisi, non ha certamente giovato all’obiettivo di realizzare a breve un compiuto programma di alfabetizzazione in materia, e la strada da fare resta ancora molto lunga, nonostante lo sforzo (in questo caso notevole) fatto nel tempo dalle istituzioni finanziari e politiche, quest’ultime prevedendo anche d’inserire l’educazione finanziaria nei programmi scolastici.
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