Nostra intervista esclusiva con Monica Sansoni, nuova garante dell'infanzia della Regione Lazio.
Chi è il garante dei diritti dei minori, quando e perché nasce?
Il Garante regionale del Lazio nasce con una legge regionale del 28/10/2002, nr. 38, che recita come definizione: “Istituzione del Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza”; è composta da sette articoli e quello che specifica le attività e il ruolo del garante è l’art. 2 che cita le funzioni: “il garante svolge funzioni sulla vigilanza delle Convenzioni Internazionali e fa sì che le leggi riguardanti i minori d’età siano rispettate e che i diritti di questi e la professione di tutela vengano applicate”. Si cerca di monitorare e vigilare sulle normative, sulle convenzioni e sull’attuazione delle posizioni normative nazionali che sono, in questo caso, di competenza della Regione. Ovviamente il Garante collabora con le altre istituzioni ed è a stretto contatto con le Autorità Giudiziarie, con la Polizia di Stato e con i Carabinieri e, laddove vi è la necessità del supporto al minore richiesto dalla famiglia, sia nel caso in cui questo sia una vittima, sia nel caso in cui abbia commesso un reato. Inoltre vigila sull’assistenza dei minori nelle case famiglia, sulle attività nelle strutture sanitarie e promuove la formazione sulle varie fenomenologie che riguardano anche le devianze minorili, tra le quali il “bullismo e il cyberbullismo”: piaghe sociali che attanagliano e preoccupano sempre di più.
Quali obiettivi si pone per la tutela dei minori sul territorio?
Gli obiettivi posti sul territorio sono quelli di dotare i ragazzi di strumenti idonei alla loro formazione: formare dei ragazzi competenti che abbiano la possibilità di sviluppare le “european skills”. Oggi sono richieste competenze che vanno oltre a quelle imposte da un programma ministeriale e che investono su un’educazione sociale. Mi preme, infatti, dare ai ragazzi degli indizi su come tutelarsi e proteggersi.
Quali enti fanno parte della rete di collaborazione del Garante?
Innanzitutto gli Enti territoriali, i communi e le provincie. Il Garante dell’Infanzia collabora a stretto contatto con le province del Lazio; proprio in questo periodo sto prendendo contatto con nuovi territori. Io ho avuto questo incarico il 04/08/2021, mi sono insediata il 06/09/2021 e il mio lavoro da precedente funzionario si svolgeva nella provincia di Latina. Mi sono spostata spesso anche in altre province, quando veniva richiesto un intervento tecnico sulla criminologia, sulla criminalistica, sulla linguistica forense e su tutto ciò concerneva la formazione di minori e di docenti o di funzionari e dipendenti di enti specifici. Attualmente la collaborazione si estende su tutte le province del Lazio. Ciò avveniva anche con il mio predecessore.
Perché oggi più che mai la figura del Garante è diventata necessaria?
Quello che mi preme è portare a conoscenza la figura del Garante poiché, in molte situazioni, la conoscenza di questa figura non è chiara. Si sa che esiste questa Legge istitutiva e che c’è la possibilità di mettere in atto competenze di protezione e di tutela verso i minori, ma bisogna lavorarci molto, secondo me, far comprendere che il Garante può diventare una figura necessaria e fondamentale poiché può affrontare e supportare tutte quelle attività e azioni, non solo di repressione ma, prima ancora azioni di prevenzione e di insegnamento verso le normative che competono i minori. Inoltre è necessaria perché è una figura di tipo neutrale, non prende le parti di nessuno se non dell’interesse superiore del minore, in base alle citazioni delle Convenzioni Internazionali dell’ONU e di tutte quelle caste che fanno capo alla tutela dei ragazzi. Laddove ci giungono situazioni di alta conflittualità familiare, intra familiare e di separazioni difficili.
Noi cerchiamo di valutare in quale situazione si svolge la vita del minore coinvolto nella diatriba familiare e applichiamo uno stato di protezione per sradicarlo dal conflitto che vive tra i due genitori.
Le prime agenzie formative sono costituite dalla famiglia e dalla scuola; secondo la sua esperienza, queste svolgono in maniera efficace il proprio ruolo? in ogni caso, cosa suggerirebbe?
La famiglia è la prima agenzia educativa per eccellenza, seguita dalla scuola; queste dovrebbero camminare insieme perché è fondamentale che i minori abbiano dei punti di riferimento reali, fissi e sicuri dove rifugiarsi in caso di problemi. Quando le due agenzie non fanno fronte comune, la difficoltà per il minore diventa vasta e tortuosa; non a caso esiste il patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia che, secondo la mia esperienza, ha dato un alto valore al processo formativo- educativo del minore e diventa fallimentare quando non viene rispettato. Un’efficace informazione rispetto al patto di corresponsabilità che, spesso le famiglie firmano senza leggerne il contenuto, la mancata conoscenza del documento, porta ad affrontare delle conflittualità scolastiche in cui anche il Garante viene chiamato; la struttura si aziona per capire come sedare le conflittualità che non portano giovamento al minore ma che anzi, diventano aspre fino ad arrivare all’azione di portar via l’alunno dalla scuola. Prima di arrivare a questi estremi che mettono a repentaglio il benessere del ragazzo, è importante conoscere le azioni e le buone prassi attuabili tra le due agenzie educative. In questo caso il successo è garantito. Quando in passato ciò è accaduto, ci ha riempiti di gioia e ci ha fornito uno stimolo e una speranza per poter dire: - beh… tutto sommato quando esiste la linearità della considerazione del minore le cose vanno nel posto giusto! -.
Le dinamiche sociali tra i ragazzi sono regolate dall’utilizzo dei social media che vedono contrapposte “le une contro le altre armate” le fazioni dei favorevoli e quelle dei contrari, ci può dire dove si colloca il suo pensiero?
Io, da sempre, non ho mai demonizzato né i dispositivi elettronici, né i social media e i social net work; ma se da un lato non li demonizzo, non sono neanche quel tipo di persona che dice: - ma sì!! Tutto libero e abbiate il libero accesso. – No!!
Il mio non demonizzare è conseguenziale a una giusta conoscenza e a un giusto utilizzo dei social, dei cellulari, dei computer e delle chat. Ritengo che sia sempre una questione di informazione e di formazione dei nostri ragazzi, poiché non si può pensare di donare una situazione nuova e non spiegare cosa potrebbe accadere, quindi se io permetto l’accesso a mio figlio anche in età inferiore a quella consentita dalla legge, devo essere consapevole di quello che sto facendo, cioè: mi sto assumendo una doppia responsabilità, oltre a quella che ho come genitore, mi prendo la responsabilità di consentire a un minorenne di usare i social, quindi le fazioni che si contrappongono (social sì – social no) prima ancora di contrapporsi dovrebbero chiedersi quale tipo di azione sto mettendo in atto per mio figlio? Ed è un’azione che la legge mi consente di fare o lo sto facendo per mia volontà e quindi me ne arrogo tutte le conseguenze del caso? E’ la stessa situazione che stiamo vivendo in questi giorni con la serie tv di Netflix: “Squid Game”: questa è sicuramente una programmazione che ha dei risvolti psicoemotivi che non si rivolgono totalmente a sentimenti positivi, così come ci insegnano gli psicologi che analizzano la fattispecie della serie. Però non possiamo neanche dire di vietare la visione di questo programma, ritenuto nocivo, anche perché, allora, dovremmo censurare una buona parte dei programmi che vediamo in prima serata che non sono adeguati ai bambini. Già dai tempi della nostra infanzia c’erano programmi che non ci era consentito guardare, allora il genitore ci invitava ad andare a dormire oppure di andare in un’altra stanza a giocare.
E’ facile dire telefono sì, social sì, telefono no, social no.
Bisogna un attimino fermarci e riflettere su cosa conosciamo di tutto questo mondo che di virtuale sta iniziando ad avere ben poco poiché trasla continuamente nella quotidianità diventando un reale palpabile e quando ci arrivano le segnalazioni di bambini che imitano gli attori di “Squid Game” significa che c’è un fallimento genitoriale poiché, probabilmente, i genitori non hanno controllato e vigilato abbastanza. Fare il genitore ha le proprie difficoltà oggettive, però non è neanche giusto che deve risultare così semplicistico da incolpare un social. In questo caso una serie di Netflix.
E’ chiaro che i modelli sociali costituiti dalle famiglie patriarcali, includenti un importante geografia parentale dove anche i vicini di casa partecipavano nell’educazione del ragazzo, sono stati sostituiti da modelli sociali limitati nei riferimenti educativi e hanno rimodulato i contesti familiari dove i ragazzi hanno la possibilità di interazione unicamente con i genitori ei fratelli; secondo lei, quanto, e come incide questa selettività di interscambio è rilevante ai fini dello sviluppo socio-psico-fisico del ragazzo?
Lo status familiare attuale è completamente stravolto nella nostra società moderna, si vede sempre più una famiglia che corre all’impazzata verso un tempo che si rincorre a sua volta. Mi è capitato di parlare con ragazzi che magari avevano avuto delle problematiche più o meno semplici e alla domanda che spesso si fa: - perché non ne hai parlato con mamma e papà? Mi è stato risposto: - perché tanto non mi ascoltano -. Il verbo ascoltare ha una sensibilità pazzesca che non è il sentire di cosa hai fatto durante la giornata. Ascoltare significa sintonizzarsi sul problema che in quel momento un figlio ci sta comunicando: un disagio che magari sta cercando di spiegarci anche attraverso dei silenzi, oppure delle estraneazioni. Tanti ragazzi dicono di non cenare insieme ai genitori la sera, perché magari hanno pranzato un po' tutti a random nell’arco della giornata; la sera ci si rivede per poi mangiare uno spuntino in camera, perché ognuno guarda la tv e vede un programma diverso. Comprendiamo allora che sono sfuggiti di mano i valori fondamentali su cui si basa la crescita di un minore. Questo è un qualcosa che ci viene raccontato dai ragazzi. Quel calore e quel rifugio del nucleo familiare, purtroppo non sempre si rivela. Spesso questa mancanza incide sullo sviluppo socio-psico-fisico del minore. I genitori sono talmente fagocitati dai problemi, dalle situazioni quotidiane, dal lavoro e dal sostentamento economico che, proprio quella parte così sensibile, così fragile e importante come la considerazione verso i figli, viene messa in ultima analisi per poi esplodere quando un figlio ha un problema che emerge all’improvviso. A volte mi capita di vedere che una madre o un padre non abbiano avuto modo di comprendere o percepire un campanello di allarme che si stava già manifestando, non per menefreghismo, ma perché soffocati da un quotidiano che annulla la vista, il pensiero, la considerazione della realtà che ci gira intorno, segnali ben visibili , d’altro canto, i figli sono i primi giudici che osservano più di quanto possiamo immaginare e ce ne rendiamo conto quando cerchiamo di sradicare un problema e di capire cosa sta succedendo ,allora i ragazzi rigettano addosso tutto ciò che i genitori fino a qual momento non avevano visto, mentre il figlio lo rimurginava dentro.
Esprimere la genitorialità attraverso il sostegno e l’educazione, talvolta, non è un fondamento imprescindibile, cosa succede quando un minore vive una situazione di marginalità familiare?
Il minore soffre perché la marginalità fa emergere in lui tutta una serie di disagi, di sensazioni e di emozioni spiacevoli che non gli permettono di vivere un quotidiano sereno. Laddove vi sono casi di marginalità familiare e sociale, vi sono anche difficoltà di integrazione del ragazzo all’interno del proprio sociale, di inserirsi in un gruppo di pari poiché, magari, non si sente all’altezza o teme di essere giudicato.
Gli psicologi ci insegnano che si sviluppano una serie di situazioni che portano il minore ad un blocco difficile poi da scardinare. Diciamo che, quando c’è’ la possibilità di un sostegno alla famiglia, questo deve essere applicato. Io, spesso mi trovo a chiedere aiuto ai servizi sociali su situazioni familiari che hanno necessità di essere supportate e noto che la famiglia teme di essere ritenuta non idonea nel crescere e nell’educare i figli. In realtà i servizi sociali e i centri per la famiglia non sempre agiscono con durezza, portando via il bambino dalla famiglia, anzi il personale ha competenze professionali tali da aiutare e attivare un supporto di educazione familiare. Ho visto attivare dei bellissimi percorsi dai servizi sociali i quali hanno ottenuto grandi successi, indirizzando i genitori verso il giusto percorso da intraprendere per poi continuare da soli una volta acquisita ed attuata una genitorialità equilibrata, allora anche il bambino acquista sicurezza e autostima sentendosi adeguato e alla pari di altri compagni.
Quali sono i segnali che indicano un disagio? Quando e come si comprende un abuso?
Un docente, una mamma, un papà, un educatore, un allenatore possono individuare un disagio latente studiando e conoscendo il ragazzo che ha davanti; comincia a percepirlo da varie situazioni e sintomatologie che il minore esterna: come la chiusura, l’insicurezza, la paura di sbagliare, l’essere taciturno nel timore di non essere alla pari degli altri compagni, insomma ci sono vari campanelli di allarme che ci indicano un disagio. La scuola è un terreno fertile per estrapolare, anche attraverso un semplice elaborato che parla di dinamiche familiari dove il minore vive quotidianamente. A noi è capitato di essere contattati perché, da un testo, o da una qualsiasi attività che dia l’input ai minori di esternare, emergono situazioni preoccupanti.
L’abuso invece è un fenomeno talmente complesso e delicato che lo puoi rilevare da comportamenti, da richieste di aiuto, talvolta anche silenti. Spesso c’è però una sommersione totale, di un sommerso più profondo dello sprofondo dove è davvero difficile che venga esternato. Fortunatamente i ragazzi e i bambini hanno più facilità di un adulto a raccontare. Vedo la differenza tra una donna che ha subito una violenza di genere o di stalking quanta difficoltà ha nel chiedere aiuto e ad esternare quello che le è capitato o che le sta capitando. Noi impieghiamo molto tempo per rilevare un fatto del genere. I bambini invece lo esternano con molta facilità soprattutto quando hanno un adulto di riferimento di cui si fidano. Ci capita, con la Polizia, di venire a conoscenza in seduta stante, di abusi subiti, proprio durante gli incontri dedicati alla violenza, alla pedofilia o alla violenza intra familiare; i ragazzi raccontano molto apertamente quello che gli capita, in vari modi.
Il fenomeno del bullismo è una piaga sociale dilagata e dilagante, chi è il bullo? Perché bullizza? Chi è il bullizzato?
Il fenomeno del bullismo è trasversale e colpisce su più fronti e a qualsiasi età. Ormai i comportamenti di tipo prevaricatorio, oppositivo e manipolatorio sono all’ordine del giorno. Il bullismo si rileva quando si presentano situazione ripetute, quindi c’è una sorta di recidiva e di reiterazione nel tempo. Spesso ci arrivano situazioni dove i genitori riferiscono che il figlio è bullizzato quando magari ha subito soltanto un dispetto che può essere non accettabile ma non si tratta di bullismo.
Il bullismo si incardina in una serie di fattori ben precisi così come il cyberbullismo che oggi è ancora più evidente del bullismo, per l’utilizzo spasmodico dei social. Il bullo è un ragazzo che usa la forza e una metodologia propria per offendere e attaccare sia fisicamente che psicologicamente la vittima. Insieme a profiling di psicologi, di esperti forensi e criminologi vediamo lampante il fatto che il bullo è un ragazzo che ha dei suoi limiti e aziona questi comportamenti perché ha un problema egli stesso, quindi va valutata anche la sua situazione; bullizza un po' per una sintomatologia e, può sembrare assurdo, anche per una sorta di insicurezza. I bulli prevaricano, scelgono una vittima che non si sa difendere nell’immediato individuando quelle personalità che rimangono un po' emarginate. Il fatto di esser isolati diventa per il bullo un terreno favorevole per bullizzare.
Come si interviene per involvere il fenomeno?
Per involvere il fenomeno ci vuole la prevenzione e la sensibilizzazione. Ho notato che quando si spiega nelle scuole il fenomeno del bullismo e il cyberbullismo i ragazzi alzano gli occhi al cielo annoiati; quindi il mio intervento, da criminologa e da garante, sia se intervengo con la polizia o da sola, non parlo più dell’argomento ma vado direttamente al sodo, spiego cosa succede se si è bulli, se si è bullizzati e quali sono le conseguenze penali: gli ammonimenti, l’intervento della questura, la magistratura che invia l’avviso di garanzia….. a quel punto l’attenzione dei ragazzi è massima e mi rivolgono molte domande. Ritengo che portare loro i casi pratici con la descrizione del reato, correlati dalle sentenze che illustro, sia molto efficace, in quanto il bullismo e il cyber bullismo costituiscono un delitto, poiché il delitto non è solo un omicidio, da criminologa ho visto tante situazioni quotidiane che si definiscono delitti; anche delle cattiverie, delle malvagità e delle parole che i ragazzi pensano essere inoffensive, queste, in realtà, colpiscono nel profondo chi le riceve, anche quello è un delitto. Portare i ragazzi nel concreto è un’azione vincente che può sovvertire la situazione, dove il bullo diventa il punto di riferimento poiché ha modificato completamente atteggiamento. Questo è il mio metodo di intervento. Così sto procedendo adesso.
Può un bullo oggi diventare un criminale domani?
La criminalità è una fenomenologia talmente vasta che passa attraverso tante sfaccettature e organizzazioni. Non è detto che un bulletto del passato possa diventare un criminale di oggi; potrebbe essere stato un bambino remissivo e poi, purtroppo, nell’età adulta essere diventato tutt’altro. Sono le vicende della vita che ci conducono ad essere ciò che siamo. Io, un po' di tempo fa sono stata in un carcere di alta sorveglianza, tra i detenuti padri che, nella maggior parte dei casi, stanno dentro per associazione a delinquere, per criminalità di stampo mafioso; persone che staranno lì per trent’anni, mentre alcuni di loro ci stanno da vent’anni, insomma, personalità forti. Sono stata tra di loro perché c’è un bellissimo progetto sulla genitorialità che il direttore di questo carcere, insieme agli psicologi, ha portato avanti. Il detenuto padre è un genitore che ha il diritto di estrinsecare e maturare tutta quella genitorialità che è consentita al di fuori della detenzione.
Quel giorno è stato bellissimo. Insieme a me c’erano le mogli e i figli dei detenuti, ho superato insieme a loro le varie ed enormi porte metalliche che si richiudevano alle nostre spalle, fino ad arrivare in un salone nel quale ci hanno fatto accomodare le psicologhe, la direttrice e tutti gli altri funzionari implicati nel progetto, per attendere questi papà che arrivavano dalle loro celle. Quando questi sono entrati, i figli di varie età sono corsi loro incontro per stringersi in un abbraccio e in un pianto, per poi riunirsi intorno ad un tavolo, in una sorta di incontro – colloquio. I papà avevano cucinato per i figli e per tutti noi; avevano preparato la pasta e il secondo. In seguito mi hanno invitato a prendere la parola e ho detto che loro si trovavano in quella condizione per i casi della vita e per un viaggio che avevano intrapreso, consapevoli delle eventuali conseguenze, ritrovandosi in situazioni inaspettate. Il fatto di non sentirsi giudicati gli ha fatto salire le lacrime agli occhi.
Mi permette di farle una domanda personale? L’ultima? Lei è una madre, ci può parlare di sé in quanto tale?
Sono una mamma di due figlie, una di 10 anni e l’altra di 15 anni, mi trovo in due mondi, uno dell’infanzia e uno dell’adolescenza, vivo come tutti gli altri genitori le paure, le incertezze e le incognite del domani perché sono anche loro figlie dei tempi, come mi piace dire.
Il nostro primo garante mi insegnò, quando io cominciavo a muovere i primi passi da mamma e lavoravo appunto con il primo Garante istituito nel 2002 presso la Regione Lazio, lui mi diceva sempre: - sono figli dei tempi, quindi imparerai anche tu piano piano ad accompagnarti a questi tempi, cercando di fare luce più possibile, per diventare un faro per le tue figlie -. Io cerco di insegnare loro come attraversare la strada del web, soprattutto alla figlia maggiore perché la piccolina ancora non mastica questo aspetto per ovvi motivi e diciamo che “cerco di allungare il brodo” però arriverà il momento. Con la maggiore provo a conoscere questo mondo del virtuale che è l’aspetto che mi preoccupa di più. Cerco di informarmi, di creare comunicazione con lei senza entrare a gamba tesa.
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