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Immagine del redattoreValeria Bomberini

Decreto per il fotovoltaico sui terreni agricoli, cosa cambia

Varato il Decreto Agricoltura che regolerà le disposizioni per l'installazione degli impianti fotovoltaici sui terreni agricoli



Dopo una settimana di attesa, resa necessaria per le modifiche apportate dal Quirinale sulla bozza definitiva, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.L. 63/2024, che include tutte le disposizioni urgenti per le imprese agricole, per la pesca e l’acquacoltura.

Il Quirinale ha siglato infatti la versione rivista della bozza di decreto che era già stata approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 8 maggio e che aveva scatenato non poche polemiche tra gli addetti del settore.

Questa, oltre a prevedere diverse misure a sostegno delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, aveva introdotto uno stop quasi totale all’installazione dell’agrivoltaico a terra per limitare l’uso del suolo agricolo e preservarlo per la produzione agricola.

Un punto molto dibattuto nel corso della settimana tra le forze di governo, che hanno visto da una parte il ministro Lollobrigida e dall’altra il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin discutere e confrontarsi in merito al divieto totale di installazione dei moduli sul terreno agricolo.

In particolare, il ministro Pichetto Fratin ha spinto molto per una revisione dello stop soprattutto a fronte degli ingenti investimenti effettuati per il processo di transizione ecologica del Paese e specificatamente rispetto alla salvaguardia di tutti i progetti approvati e finanziati dal Pnrr.

La richiesta è stata invece portata avanti dal ministro dell’agricoltura Lollobrigida, sotto le pressioni di Coldiretti, che spingeva a favore della salvaguardia delle aree agricole necessarie alla coltivazione.

Ettore Prandini – il presidente di Coldiretti – commenta infatti: «dopo anni in cui abbiamo chiesto l’emanazione del decreto aree idonee sul fotovoltaico a terra, arriva un giusto intervento per fermare le speculazioni dei grandi fondi di investimento», portando l’attenzione sulla necessità di una regolamentazione più efficace del fotovoltaico a terra, per far sì che non impedisca le coltivazioni agricole.

L’avanzamento della richiesta di stop tuttavia, ha fatto storcere qualche naso, soprattutto alla luce della palese necessità di accelerare gli investimenti in materia di transizione ecologica, necessari a far sì che si possano raggiungere i 9 gigawatt di capacità rinnovabile installata previsti dagli standard europei per gli obiettivi di sostenibilità al 2030.

I dati di Terna dimostrano infatti un quadro non proprio roseo per la situazione italiana: se nel 2023 il solare e l’eolico hanno visto una crescita esponenziale rispetto all’ultimo decennio, lo scorso anno la capacità rinnovabile installata italiana ha raggiunto soltanto i 6 gigawatt, a fronte dei 9 necessari per raggiungere gli obiettivi al 2030.

Finora la percentuale dei terreni agricoli impiegata nel fotovoltaico ammonta a circa 16mila ettari, ossia lo 0,13% rispetto ai circa 13 milioni di ettari disponibili.

Se l’impegno italiano - preso proprio lo scorso 30 aprile – resta quello di triplicare le rinnovabili al 2030, bisognerà necessariamente aumentare l’impegno a favore del fotovoltaico.

Per raggiungere gli obiettivi di RePower Eu, si dovrebbero raggiungere i 198 gigawatt di energia installata entro i prossimi 7 anni, vale a dire aggiungerne 84 ai 66 gigawatt di energia rinnovabile già installata nel Paese.

Questo significherebbe impiegare solo l’1% dei terreni agricoli per il fotovoltaico che, a quanto riportato da un recente rapporto del Joint research center (Jcr), resta ad oggi l’asset più efficace per lo sviluppo energetico rinnovabile italiano per il 2030.

Intervistato dall’Ansa, anche il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo si è dichiarato fortemente contrario al divieto per il fotovoltaico a terra sui terreni agricoli. Afferma: «Riteniamo che il Dl Agricoltura, col divieto dell’agrivoltaico a terra, sia un danno per l’Italia. Nessuno vuole una conversione selvaggia dei terreni agricoli, ma andrebbe fatto un ragionamento sulle aree agricole non più in produzione, che potrebbe essere conveniente convertire al fotovoltaico. Invece il divieto generalizzato non permette valutazioni economiche, non ha la flessibilità necessaria». Il direttore di Utilitalia punta infatti l’accento sull’inevitabile rallentamento dello sviluppo del solare in Italia, sottolineando la difficoltà (data dai costi) di installare moduli sollevati da terra. Senza contare la puntualizzazione di Elettricità Futura (associazione confindustriale che rappresenta il 70% del mercato elettrico nazionale), che pone l’allarme sul rischio di un effetto domino che potrebbe innescare un rialzo dei costi di realizzazione dei nuovi impianti: «Con questa decisione si renderebbe più cara l’energia che costa meno in assoluto, quella prodotta dal fotovoltaico a terra. L’elettricità prodotta con questi impianti fotovoltaici, infatti, costa un terzo dell’elettricità generata dagli impianti fotovoltaici residenziali sui tetti».

Dall’analisi effettuata a posteriori dal Quirinale, oltretutto, sembra siano emersi contrasti nei contenuti della bozza di decreto, soprattutto per quel che riguarda tre norme che sembra non rispettassero i requisiti di urgenza necessari per poter essere inseriti in un decreto.

In particolare, il riferimento dello staff del presidente Mattarella va proprio ai passaggi del decreto che riguardavano l’installazione di pannelli solari a terra. Ecco che infatti nella bozza finale varata dal Quirinale troviamo la – presumibile - specifica che mira a salvaguardare gli investimenti e i progetti già approvati e finanziati nell’ambito del Pnrr, compresi quelli riguardanti le comunità energetiche, un altro punto che durante il dibattito aveva generato ulteriore attrito tra i ministri.

Restano tuttavia i paletti sull’installazione del fotovoltaico a terra nelle zone classificate come agricole dai piani urbanistici vigenti, ma con alcune eccezioni.

I pannelli non subiranno limitazioni di installazione se collocati all’interno di cave e miniere non più in funzione, se collocati in siti nelle disponibilità delle società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di infrastrutture ferroviarie, o delle società concessionarie autostradali. Infine, se collocati in aree adiacenti alla rete autostradale (entro una distanza non superiore a 300 mt) o in interne agli impianti industriali o stabilimenti.



 

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