top of page
Immagine del redattoreSilvano Moffa

DALLE MUNIZIONI ALLO SPAZIO, LA STORIA DI UNA GRANDE AZIENDA

Ha dedicato una vita alla fabbrica. Ad ottantaquattro anni, il ricordo degli anni d’oro della Bpd, del passaggio dal munizionamento allo spazio, del centro studi da cui l’industria chimica italiana trasse il meglio della produzione nel settore dei saponi, dei diserbanti, delle bombolette spray, dei deodoranti, è ancora vivo nella mente dell’ing. Giuseppe Grande. E’ stato direttore del settore spaziale. Per anni ha fatto il pendolare tra Colleferro e Parigi. In Italia per guidare una impresa complessa come la Fiat Avio, in Francia per seguire di persona le fasi di qualificazione delle componenti dell’Ariane, il missile europeo.

Con lui che ha vissuto le varie trasformazioni aziendali, dalla Bpd alla Snia, dalla Snia alla Fiat Avio, ripercorriamo quegli anni densi di novità eppure difficili. E’ un pezzo di storia di Colleferro. Forse la più rilevante. Ma è anche un pezzo di storia industriale dell’Italia, dal dopoguerra al terzo millennio.

Ingegner Grande, lei è entrato nella Bpd all’epoca di Romiti, quando l’azienda si occupava di munizionamento e chimica.

“Sì. Romiti era il direttore. Avevo appena finito il servizio di leva occupandomi di artiglieria pesante con specializzazione nel servizio tecnico di artiglieria e fui chiamato proprio ad occuparmi di munizionamento. All’epoca abitavo a Roma. Siamo negli anni Sessanta. Allora i proiettili a razzo usavano un propellente prodotto dalla Bpd. Una volta sparati dal cannone i razzi entravano in traiettoria grazie alla propulsione. Da militare avevo il compito di recarmi in Bpd per acquistare il propellente che serviva. Ci serviva per le esercitazioni nel campo di Nettuno”.

Come si è passati dalla realizzazione delle munizioni militari allo spazio?

“Quando arrivò la legge Formica che, di fatto, bloccò ogni tipo di commercializzazione delle armi su scala internazionale, dovemmo avviare una radicale riconversione. Pensi che il munizionamento all’epoca rappresentava l’80% del fatturato. Dalla sera alla mattina tutto cambiava. L’esperienza nel campo dei propellenti usati per le armi ci fu di aiuto. Cominciammo così ad occuparci dello spazio”.

Ancor prima, il Duca Francesco Serra di Cassano, dottore in chimica di nobile famiglia napoletana, genero dell’ingegnere Leopoldo, era stato l’artefice della rinascita della Bpd, proiettandola verso la chimica fine con la produzione di DDT, con il quale sono stati salvati dalla malaria milioni di persone, soprattutto bambini, come lei stesso ha spesso ricordato, nelle zone paludose dell’Italia infestate dalla zanzara anofele. Lei è stato uno stretto collaboratore del Duca?

“Il Duca Francesco Serra di Cassano ebbe l’intuizione, all’indomani del Trattato di Pace, di acquisire importanti brevetti commerciali nel campo civile. Un’altra importante intuizione la ebbe quando favorì la produzione del sapone in polvere, il Lauril, accompagnato da una imponente campagna pubblicitaria. Poi arrivarono i filati sintetici prodotti nello stabilimento del Castellaccio. Mentre sopravviveva, in un certo senso, la antica tecnologia con la produzione delle cartucce da caccia.

Con quelle cartucce l’Italia vinse non poche medaglie olimpiche. L’infallibile intuito imprenditoriale del Duca non si ferma qui. A mano a mano che si allentavano i vincoli del Trattato di Pace e l’Italia diventava un alleato strategico degli Stati Uniti nella Guerra Fredda, Serra di Cassano riesce ad ottenere per la Bpd un contratto di ripristino dei razzi da due pollici, residuati bellici, stipati negli arsenali italiani. E’ qui che inizia la nuova avventura: l’ingresso della Bpd nella propulsione a razzo. Gli Usa affidano all’azienda colleferrina il compito di realizzare per l’intera Europa i motori a razzo del missile antiaereo Hawk. Non siamo più, evidentemente, di fronte a un propellente per razzi di piccole dimensioni bensì di fronte a qualcosa di più grande e diverso.

Si costruiscono motori e propellenti per razzi sonda metereologici e veri e propri lanciatori composti da due o tre razzi, l’uno sovrapposto all’altro, i cosiddetti stadi. Agli albori degli anni Settanta la Bpd viene qualificata come fornitrice di propulsori spaziali. La propulsione ha portato allo spazio”.

Mentre avvenivano queste trasformazioni ci sono stati momenti di crisi. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta con la finanziarizzazione dell’economia alcune attività produttive hanno attraversato momenti di grande difficoltà. Le stesse compagini aziendali si sono modificate. E’ subentrata la Snia, poi la Fiat. Si è persino paventata la chiusura degli stabilimenti di Colleferro.

“Esattamente. La Snia però lavorava su due canali: Castellaccio, dove si sono realizzati prodotti anche notevoli, e Colleferro da cui si drenavano risorse. Noi mettevamo i soldi. Un periodo buio perché non si investiva in innovazione e nuove tecnologie. Per fortuna quel periodo non è durato molto. Con l’ingresso della Fiat, che ha rilevato la Snia, si torna a vedere un po’ di luce. Cesare Romiti, che aveva lasciato un pezzetto di cuore a Colleferro, ci aiutò a superare la crisi. Fiat Avio cominciò ad investire nel settore spaziale”.

Torniamo per un momento agli anni della chimica. La crisi di questo settore non pensa che, oltre ad essere prodotta da alcune scelte politiche nazionali, fosse determinata anche dalla chiusura del Centro studi, un centro di ricerca all’avanguardia in Europa?

“Certamente. Pensi che, dopo aver realizzato i prodotti che abbiamo detto, la fuoriuscita dal settore della chimica comportò l’abbandono di prodotti civili e la cessione all’Unione Sovietica della produzione di bombolette per cinquanta stabilimenti. Alcuni tecnici della Bpd andarono in Russia per insegnare alle maestranze russe come costruire le bombolette”.

Parliamo dello Spazio. La conquista di un ruolo per l’industria italiana nella partecipazione ai programmi spaziali europei è avvenuta gradualmente, superando non pochi ostacoli. A cominciare dalla posizione francese, molto nazionalista e poco propensa a concedere fette di mercato alla nostra industria in un settore nel quale i francesi hanno sempre voluto affermare il loro spirito di “grandeur”. Lei ha partecipato a molti di quei tavoli da cui l’Esa, l’Agenzia spaziale europea, traeva gli elementi per orientare gli investimenti. Ce ne vuol parlare?

“Volentieri. Debbo dire che in questo il governo italiano ha avuto un ruolo decisivo. L’Esa prevedeva sostegni finanziari per gli Stati che contribuivano con proprie risorse a favorire lo sviluppo nel campo spaziale.

Questo ci consentì di realizzare i primi moduli di separazione dei razzi Ariane. Motori che, nel tempo, con lo sviluppo dell’Ariane, si sono moltiplicati.

Dai venti iniziali siamo arrivati a novanta. Insomma, con una iniziale spesa abbastanza contenuta l’Italia si è aggiudicata una fetta rilevante della partita. Un bel business che continua ancora oggi”.

Con il Vega, lanciatore leggero, il business si è rafforzato. Ricordo gli impegni profusi, sia a livello politico che industriale, per imporlo. Lei ne è stato un testimone importante.

“Vega ha segnato un passaggio importantissimo nella storia dello spazio italiano. Il lanciatore leggero copre una fascia di mercato completamente diversa da quella di Ariane, quella dei satelliti in orbita bassa, dai 500 ai 1000/1500 chilometri. Chi ci ha aiutato molto in questa impresa è stato il professor Broglio. Con le sue conoscenze scientifiche e i suoi rapporti con il mondo politico, Broglio ha fatto capire che la nostra azienda era in grado di costruire anche dei lanciatori. Lo studio del Vega è iniziato negli anni Ottanta ed è andato avanti gradualmente. Seguendo l’andamento del mercato e della tecnologia che, partendo dai satelliti per l’osservazione della Terra, è arrivato alla telefonia e, un domani, arriverà ad Internet”.

Ricordo un’altra esperienza fatta con lei, quando ero sindaco: la costituzione della CVA, Communautés des villes de l’Ariane, un organismo associativo che raccoglie le città europee sedi di industrie spaziali. Può rievocarne la nascita?

“Quella fu un’esperienza molto bella. Tutto nacque dal fatto che noi andammo in forze nella Guyana francese, dove realizzammo un nostro stabilimento. Fu lì che stringemmo rapporti con tecnici francesi, tedeschi, olandesi, inglesi. Un eccellente professore francese, che poi divenne ministro per l’innovazione tecnologica, ebbe l’idea di mettere insieme le città europee che producevano porzioni dell’Ariane, il vettore europeo. L’idea voleva rappresentare una realtà che mettesse in luce l’aspirazione europea a proiettarsi verso il futuro. Una idea che esiste tutt’ora”.

Si. Rianimare la Cva, dopo averne quasi dimenticato l’esistenza, è un fatto positivo, un fatto che fa piacere. Anche perché, come ricorderà, il Comune di Colleferro svolse un ruolo importante nella sua creazione. Con il segretario comunale dell’epoca, Antonio Rocca, lavorammo alla costituzione dello statuto e alla elaborazione dei fondamenti giuridici su cui la Cva poggia ancor oggi.

“Fu una iniziativa importante. Si mettevano insieme popolazioni e industrie cementando un rapporto non sempre felice. Ci si apriva all’Europa del futuro”.

Nello stesso periodo il Comune si dotava dell’Ufficio Europa con lo scopo di elaborare progetti per intercettare risorse europee e incrementare il rapporto tra le diverse comunità europee. Ecco, la Cva, riconosciuta a Bruxelles, è un veicolo importante a questo fine. Purchè lo si voglia.

“Tutto dipende dalla sensibilità e dalla capacità di chi sa farsi motore di processi così importanti. Ci vuole chi prenda l’iniziativa e sappia come muoversi”.

C’è un altro episodio che l’ha vista protagonista e che mi piacerebbe ricordare. La consegna delle chiavi della città al Duca Francesco Serra di Cassano.

“Un momento emozionante. Il Duca ne rimase colpito. Se la Bpd riuscì a percorrere strade nuove e innovative, se siamo arrivati ad affermare una specializzazione nel campo spaziale, lo dobbiamo soprattutto al suo ingegno, al suo intuito, alle sue capacità imprenditoriali. Di lui si parlava poco perché, caratterialmente, non amava mettersi in mostra. Passava giornate intere in fabbrica. Una presenza costante, assidua, infaticabile. Per me è stato un onore lavorare al suo fianco. E una gioia immensa averlo accompagnato in Comune per ricevere le chiavi della città”.








L’Avv. Gianni Agnelli e Cesare Romiti durante la visita agli stabilimenti di Colleferro accompagnati dall’Ing. Grande
















La consegna delle chiavi della città al Duca Francesco Serra di Cassano, artefice del rilancio della BPD nel dopoguerra

1.394 visualizzazioni0 commenti

Comments


bottom of page