La sconfitta subita sul campo dalle truppe russe nella regione di Kharkiv provoca una vera e propria onda sismica. La seconda potenza militare del mondo non sembra più tale.
La sconfitta subita sul campo dalle truppe russe nella regione di Kharkiv provoca una vera e propria onda sismica geopolitica che si avverte in Caucaso, in Asia Centrale, perfino in Iran.
La seconda potenza militare del mondo d’improvviso non sembra più tale, nonostante le oltre 6 mila testate atomiche. Il primo a registrare la debolezza della Russia è il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il quale scatena le proprie artiglierie contro l’Armenia, che pure fa parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), guidata dalla Russia, ed ospita sul proprio territorio due basi militari delle Forze armate russe. Il fatto che Mosca non reagisca alla richiesta formale di aiuto lanciata da Erevan, mina alle fondamenta la credibilità della Csto: uno sviluppo che viene immediatamente registrato dai membri centrasiatici dell’Alleanza – Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan – i cui presidenti riservano a Vladimir Putin un’accoglienza meno che tiepida nel vertice che l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) tiene a Samarcanda il 15 e il 16 settembre. Del vuoto politico lasciato dalla Russia in questa vasta regione approfitta il presidente cinese, Xi Jinping, il quale si erge a tutore dell’integrità territoriale del Kazakhstan, un Paese di 17 milioni di abitanti, oltre cinque dei quali sono russi. Nel Caucaso, invece, sono gli Stati Uniti a trarre vantaggio dalla frustrazione degli armeni per il mancato aiuto da parte dell’alleato russo.
La presidente della Camera dei rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, si reca infatti a Erevan per mostrare la vicinanza di Washington alla piccola repubblica caucasica, e per ingiungere al presidente azero di non incorrere in nuove violazioni del diritto internazionale. Le autorità iraniane erano state più solerti di quelle russe nei confronti degli armeni, inviando truppe al confine con l’Azerbaigian. Il Paese degli ayatollah, tuttavia, viene improvvisamente scosso da un’ondata di rivolte causata dalla morte di una giovane curda, Mahsa Amini, arrestata dalle “guardie della morale” per non aver indossato in modo appropriato il velo islamico. Le autorità parlano di un improvviso attacco cardiaco all’interno della stazione di polizia ma non convincono nessuno. Partita dalle città curde, la sommossa contagia subito la capitale, Teheran, e arriva a coinvolgere oltre 130 città in tutto il Paese. I giovani distruggono le immagini dell’ayatollah Ali Khamenei, inveiscono contro di lui gridando “morte al dittatore”, assaltano diversi commissariati e attaccano ovunque possibile le auto delle guardie islamiche, dando fuoco alle loro auto e alle loro sedi. Mentre scriviamo, il conto delle vittime, secondo l’organizzazione Iran Human Rights, che ha sede a Oslo, è arrivato a 50 morti, poliziotti compresi. La situazione è tanto più grave per il regime in quanto, proprio in concomitanza con l’uccisione della giovane, si diffondevano voci su una grave malattia di Khamenei (83 anni).
Le autorità fanno sapere che la “guida suprema” della repubblica era stata sottoposta a intervento chirurgico a causa di un blocco renale, e lo stesso Khamenei si fa fotografare in piedi all’aperto, per smentire la notizia della gravità della sua malattia, ma non si può escludere che le sue condizioni siano peggiori di quanto non ammettano le autorità. Fino ad ora né le guardie islamiche né la polizia, né tantomeno i sostenitori chiamati in piazza dal regime sono riusciti a sedare la rivolta. Ieri, venerdì 23 settembre, l’esercito ha fatto sapere che difenderà la Repubblica islamica dai “nemici” che intendono abbatterla: un annuncio che sembra anticipare l’intervento delle Forze armate. E’ ben possibile che le manifestazioni siano schiacciate dalla repressione, resta il fatto che una rivolta così vasta, violenta e così apertamente indirizzata contro il regime islamico non si era mai vista nel Paese, e il fatto che ciò avvenga nel momento di massima debolezza della Russia potrebbe non essere casuale. L’Iran, infatti, è un alleato strategico di Mosca e gli scossoni al regime degli ayatollah, assieme alle difficoltà dell’Armenia, al voltafaccia delle repubbliche dell’Asia centrale nei confronti di Putin e ai violenti scontri di frontiera che oppongono Kirghizistan e Tagikistan, potrebbero essere tutti segnali di un importante rivolgimento che potrebbe portare alla fine di un intero assetto geopolitico, un brusco rovesciamento che, forse, potrebbe coinvolgere anche il regime di Putin.
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