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Biodigestore, una scelta sbagliata

Il megaimpianto a Colle Sughero provocherà l'impatto del traffico dei bilici e il peggioramento della qualità dell'aria


In base alle frammentarie informazioni disponibili sappiamo che la Regione Lazio intende collocare a Colleferro, a Colle Sughero e al posto del termovalorizzatore in fase di smontaggio, un impianto di trattamento meccanico-biologico di rifiuti urbani, allo scopo di garantire la chiusura del ciclo di trattamento della frazione organica dei rifiuti dell’area romana.

Si tratta di un impianto che, dal trattamento dei rifiuti umidi, produrrà bio-gas e bio-metano da immettere nelle reti di distribuzione della Snam.

Non si capisce se i quantitativi di rifiuti da inviare all’impianto saranno 250 mila o 500 mila tonnellate all’anno, ma vale la pena di porre alcune rilevanti riflessioni.

In primo luogo: dalla quantità di rifiuti da trattare dipende la dimensione fisica dell’impianto, la produzione di gas attesa, l’impatto del traffico veicolare e dei fattori inquinanti relativi all’intero ciclo di produzione (consumo di territorio, trasporti e relative emissioni, emissioni acustiche e odorigene delle lavorazioni, qualità dell’aria e tutela delle falde acquifere, impatti sul paesaggio e, in generale, stima complessiva dell’impatto ambientale generato).

I biodigestori sono impianti che, attraverso la fermentazione dei rifiuti umidi, che avviene in grandi silos dove viene addizionata più o meno acqua (dipende se vengono adottati digestori a umido o a secco), genera tre prodotti: gas biologico (biogas), un residuo composto da un fango contenente una parte di sostanza secca e una parte liquida.

Questi tre elementi devono essere successivamente sottoposti ad ulteriori trattamenti che prevedono una gran quantità di installazioni (serbatoi di stoccaggio dei liquidi, capannoni per la lavorazione della frazione secca per fare compost, tettoie di essiccazione, piattaforme tecnologiche per trasformare il biogas in metano).

Si tratta di elementi che, evidentemente, sono dimensionati in base a quanti rifiuti devono essere lavorati.

Dimensioni

In relazione alle tecnologie che saranno adottate sarà necessario disporre di un’area tra i 15 e i 20 -25 ettari sui quali saranno collocati serbatoi, silos (di altezze variabili dagli 9 ai 18-20 metri), capannoni, tettoie, vasche, edifici, piattaforme tecniche, strade e piazzali, A Colle Sughero sono disponibili solo 5-6 ettari.

Traffico

250.000 tonnellate all’anno vogliono dire circa 760 tonnellate/giorno, ovvero circa 30 viaggi di camion in andate e altrettanti in ritorno; ovviamente per 500 mila tonnellate i viaggi raddoppiano a 60 viaggi andata e 120 ritorno al giorno. Significa che 60 o 120 camion “bilici” attraverseranno giornalmente le strade di accesso a Colle Sughero.

I viaggi-camion che servivano il termovalorizzatore erano circa 40 in tempi di piena operatività.

I camion generano forte impatto acustico, emissivo e di peggioramento della qualità dell’aria e di aumento traffico veicolare.

Non ha senso localizzare in un centro abitato impianti così imponenti.

Tecnologie

Non si capisce ancora quale tecnologia sarà adottata: se ad umido (elevati consumi di acqua, grande dimensione dei serbatoi e silos) oppure a secco (volumi più ridotti per la fase iniziale ma, comunque, necessità di stoccaggi rilevanti sia per la frazione liquida che per il compostaggio di quella fangosa).

Questa scelta è fondamentale per apprezzare la solidità e la sicurezza del processo.

Investimenti

Un impianto biodigestore richiede un investimento impiantistico di circa 800-1.000 euro per ogni tonnellata da trattare: per cui circa 200-220 milioni di euro per 250 mila tonnellate /anno o circa 350-400 milioni per 500mila tonnellate/anno.

La Regione Lazio non sembra poter disporre di simili cifre, per cui ricorrerà al finanziamento di privati (finanza di progetto) che, in cambio della costruzione, avranno la gestione dell’impianto con la quale poter recuperare l’investimento con l’incasso della tariffa di smaltimento e la vendita del gas.

Il periodo di tempo della concessione, necessario per recuperare l’investimento, sarà quindi ricompreso tra i 20 e i 25 anni durante i quali l’impianto incasserà tra i 500 e i 625 milioni solo dalla tariffa oltre a centinaia di milioni dalla vendita del gas e quindi, complessivamente, tra gli 800 e il miliardo di euro (se parliamo di 500 mila tonnellate anno tutto si raddoppia). Questo induce altre due riflessioni:

· Con questi numeri non è possibile immaginare forme di partecipazione pubbico-privata più convenienti anche per il pubblico.

· La trasparenza nello svolgimento delle procedure di appalto risponde all’esigenza di tutelare la concorrenza del mercato e la scelta della miglior soluzione tecnica. E’ evidente che la scelta dell’operatore privato dev’essere condotta con rigore e nell’interesse del pubblico e del territorio ospitante (minimizzare gli impatti ambientali).

· La Regione Lazio sembra che abbia già concluso un accordo con una società canadese: che vuol dire? Ci sono canali preferenziali o accordi preliminari? E’ una forma di appalto in base all’impulso del privato (modalità prevista dal codice appalti, ma soggetta a specifiche circostanze)? Tutto appare avvolto da una nebbiosità che fa temere rischi per la garanzia di effettiva tutela della concorrenza. Non si tratta solo di “soldi”, ma di scelta di un operatore che abbia grande solidità, esperienza, possesso di tecnologie adeguate. Questo si garantisce solo con appalti trasparenti: non solo operatori canadesi, ma anche di altre provenienze italiane ed estere che vantano esperienze valide e sicure.

Alcuni elementi da mettere in evidenza

· La localizzazione di questi impianti è solitamente posta in prossimità di viabilità extraurbane con facile accesso a grandi vie di comunicazione pe evitare tragitti dei camion carichi di rifiuti in ambiti antropizzati

· Gli impianti devono essere distanti almeno 250 metri da abitazioni per evitare i rischi dovuti all’inalazione dei bioaereosol generato dall’impianto

· Il disagio localizzativo che dev’essere riconosciuto al territorio è commisurato alle dimensioni dell’impianto e agli asservimenti, anche in termini di inquinamento ambientale, che esso genera

· Questi impianti sono tipicamente appartenenti alla filiera pubblica della gestione a chiusura del ciclo dei rifiuti urbani: con i volumi di incassi generati e con la privativa comunale sui RSU esistono tutte le condizioni per accedere a finanziamenti sia pubblici che a mutui bancari

· Un’alternativa è una formula mista in cui il partner pubblico finanzia la costruzione e ne resta proprietario, mentre il partner privato viene scelto a seguito di gare di appalto per la gestione dell’impianto, dietro corresponsione del miglior corrispettivo al pubblico, assumendo su di sé il rischio di una gestione inefficiente

· La scelta che sembra voler fare la Regione Lazio è, invece, quella del project financing con riferimento alla tecnica del BOT (building – operation & transfer), ovvero “costruzione – gestione e conferimento al pubblico dell’impianto” dopo un certo periodo di tempo. E’ evidente che dopo 20 – 25 anni l’impianto sarà totalmente obsoleto

· L’impianto produce un bio-metano che ha, evidentemente, un elevato valore di mercato e garantisce flussi finanziari consistenti. Tuttavia, produce anche reflui liquidi e solidi che necessitano non solo di costose successive lavorazioni, ma anche di sbocchi di mercato che sono tutt’altro che semplici

· In particolare il quantitativo in ingresso dei rifiuti da trattare sarà più o meno uguale a quello che “esce” dalla digestione anaerobica (chiamato “digestato”). Infatti viene sottratta ai rifiuti solo la frazione volatile (il gas) che è all’incirca il 5-6% del suo peso. Tutto il resto è un fango che viene “strizzato” per separare la parte liquida da quella solida. I rispettivi quantitativi dipendono dalla composizione del rifiuto

Þ I reflui liquidi sono in parte ricircolati nel processo, ma circa l’80% dev’essere stoccato e successivamente sottoposto a processi depurativi specifici per abbattere l’elevato contenuto di contaminanti organici. Se la depurazione non avviene in loco avremo un ulteriore grande impatto veicolare per il trasporto ai depuratori di questi percolati.

Þ I reflui solidi dovranno essere sottoposti ad una successiva fase si compostaggio e stabilizzazione aerobica (grandi trincee nelle quali il digesto solito viene rivoltato meccanicamente) per asciugare (tramite evaporazione) il materiale e ottenere un compost di qualità che potrà essere utilizzato come ammendante agricolo. Ma il processo di compostaggio aerobico richiede grandi spazi coperti e chiusi e genera emissioni odorigene e gassose tutt’altro che semplici da gestire; inoltre il terriccio prodotto deve risultare conforme alle specifiche tecniche stabilite dalle norme nazionali e comunitarie.

· Le nuove tecnologie di produzione del bio-metano prevedono la possibilità di catturare la CO2 presente nel gas biologico, così come la possibilità di separare e recuperare altre frazioni nobili (gas azotati, gas ammoniacali) . L’anidride carbonica potrà essere trasformata per usi industriali. L’impianto di Colleferro cosa prevede in merito?

· Il pre- requisito ASSOLUTO è che l’impianto sia dedicato ESCLUSIVAMENTE al trattamento della frazione umida dei rifiuti urbani raccolti tramite sistemi di raccolta differenziata spinta.

· L’impianto NON DEVE separare meccanicamente la frazione umida da RSU tal-quali: tale procedimento non consente la produzione di compost di qualità ma, bensì, produce un fango che mantiene una carica batterica e inquinante molto elevata dovuta alla contaminazione con gli altri rifiuti (PCB, metalli pesanti) e anche i successivi processi di compostaggio aerobico risultano critici perché rilasciano in aria emissioni altamente inquinanti. Difatti la normativa prevede che questi compost non possano essere destinati a uso fertilizzante ma debbano essere essiccati e posti in discarica



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