Per ricordare un’altra forma di violenza, oggi porto a conoscenza dei lettori l’aborto selettivo. E’ un aborto praticato sulla base del sesso del feto, a danno del feto di sesso femminile. In paesi come l’India, l’Azerbaijan, Georgia, Armenia, Cina, nascere femmina significa rischiare la vita, come pure nascere seconde. Non nate per aborto selettivo o morte perché malnutrite e non curate.
Anche le donne immigrate in Europa utilizzano tale pratica, e i medici compiacenti non si chiedono quale sono le motivazioni per cui vogliono abortire. Si rivolgono a studi privati per eseguire accertamenti diagnostici che identifichino il genere del feto, e solo dopo si fa la pratica per l’interruzione volontaria di gravidanza nei termini previsti dalla legge, alcune praticano l’aborto clandestinamente, altre l’aborto casalingo, indotto dai farmaci. Il fenomeno non è nuovo: da tempo mancano milioni di donne mai nate, uccise o lasciate morire, e non riguarda soltanto le aree arretrate, ma anche quelle più ricche. L’aborto selettivo è una ingerenza sull’autonomia riproduttiva della donna. La quale deve fare la scelta in piena autonomia e non deve essere costretta ad abortire, nel momento in cui l’ecografia palesa il sesso fetale femminile. In molti casi le donne dopo ripetute gravidanze e aborti, vengono abbandonate perché non riescono a mettere al mondo maschi. Qui non si sta mettendo in discussione la pratica dell’aborto, ma non si può giustificare una scelta culturale soltanto per la paura di perdere un diritto acquisito. Si fa un uso e un abuso dei corpi femminili per controllare le nascite. Controllare le nascite significa esercitare un controllo medico sui corpi, che riporteranno cicatrici fuori e dentro, non solo ferite fisiche ma soprattutto psicologiche, che alimentano una angoscia interiore. Il senso di colpa per aver abortito ripetutamente, sfocia nel suicidio. In Italia nel 2011 sono partite delle segnalazioni nelle comunità immigrate, per verificare che non ci fossero selezioni delle nascite, secondo il genere; si è cercato di capire se ci fosse una attribuzione di valore elevato per il maschio dettato da un retaggio culturale. In alcuni casi le donne ricorrono all’aborto selettivo, con il desiderio di risparmiare le sofferenze di una vita da donna alle loro figlie nella loro società. Oltre ad un aspetto culturale l’uso dell’aborto selettivo avviene per ragioni economiche: le donne non possono ereditare patrimoni e sposandosi impoveriscono la famiglia, dovendosi portare la dote; mentre il maschio ha il dovere di mantenere i genitori anziani, e di occuparsi del funerale. Le donne uscite dalla famiglia non possono occuparsene. Cosa comporta l’uso abuso dell’aborto selettivo? Un disequilibrio demografico tale da mettere in discussione la sicurezza sociale, l’aumento della criminalità, la difficoltà nel trovare moglie e ciò favorisce le bride-trafficking – traffico delle spose, donne che vengono vendute. La Conferenza Internazionale sulla popolazione e lo sviluppo (ICPD) tenutasi a Nairobi nel 2019 – la prima ci fu nel 1994 nel Cairo – riconoscono che la salute riproduttiva, l’empowerment delle donne e l’uguaglianza di genere sono la strada verso la sostenibilità e lo sviluppo. La salute sessuale e riproduttiva universale è al centro del programma obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030, oltre altri obiettivi. In questa agenda si prevedono sforzi urgenti e sostenuti per realizzare la salute e i diritti riproduttivi della donna. Numerosi documenti e convenzioni in materia di contrasto alla violenza alle donne denunciano e vietano gli aborti selettivi; come numerose sono le istituzioni che operano a difesa della donna. L’aborto selettivo è un problema culturale che si fonda sul disconoscimento della parità dei sessi. Importante per questi Paesi dove è praticato sradicare le norme sociali, creare maggior accesso all’alfabetizzazione e all’istruzione delle donne, supportare le donne, accompagnandole nella scelta di rifiutare di interrompere la gravidanza.
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